/ Sport

Sport | 05 settembre 2025, 18:20

L’INTERVISTA – A Busto «le verità» su Senna. Franco Nugnes e il libro definitivo sul pilota più grande di sempre

Giovedì 11 settembre, in piazza San Giovanni, nella seconda giornata di SportivaMente – Festival dei Libri Sportivi, l’imperdibile incontro con il giornalista che aveva realizzato una caparbia inchiesta sull’incidente mortale del campione brasiliano

L’INTERVISTA – A Busto «le verità» su Senna. Franco Nugnes e il libro definitivo sul pilota più grande di sempre

“Senna. Le verità” è il libro “definitivo” sullo straordinario pilota brasiliano, sulla sua tragica scomparsa e sulla lunga inchiesta giudiziaria che fece seguito all’incidente di Imola.
Anzi, quello di Franco Nugnes è un «testo universitario» su Ayrton, per usare le parole di Carlo Cavicchi, direttore di Autosprint che affidò proprio a lui l’incarico di indagare su quello che era realmente accaduto in quel maledetto primo maggio 1994.
La caparbia battaglia di Austosprint, settimanale che lo stesso Senna considerava la “Bibbia” dell’automobilismo, fu preziosissima per arrivare alla verità.

E preziosissimo fu il lavoro di Nugnes, che a trent’anni dal dramma di Imola ha recuperato gli appunti dell’epoca e ha intervistato i protagonisti di quella vicenda.
Il risultato è un racconto imperdibile per gli appassionati di Formula 1 e del grande Ayrton, ricco di testimonianze e aneddoti gustosi, di cui parleremo giovedì 11 settembre, in piazza San Giovanni a Busto Arsizio, nella seconda giornata di SportivaMente - Festival dei Libri Sportivi. 

Franco Nugnes, potremmo definire “Senna. Le verità” come il libro “definitivo” su Ayrton. Eppure inizialmente lei non lo voleva scrivere…
«La ragione è molto semplice. Nel 1994 ero il vicedirettore di Autosprint e con Carlo Cavicchi ero stato incaricato di seguire l’inchiesta. Pensavo, essendo arrivati a una verità processuale, che il riconoscimento del piantone rotto fosse la fine della storia. Era passato del tempo ed ero convinto non ci fosse più nulla da aggiungere a quello che era stato scritto sul settimanale.
In occasione dei vent’anni dalla scomparsa di Senna, Cavicchi si era fatto avanti con l’editore, Mugavero, e gli avevo detto di no. A distanza di dieci anni, mi sono reso conto che, forse, non mettere a terra questa esperienza sarebbe stato un errore e anche una forma di presunzione di volermi tenere delle cose.
Nella convinzione di non avere molto da aggiungere, da matto ho deciso di risentire tutte le fonti che hanno incrociato l’esistenza con quel maledetto primo maggio 1994, trovando dei racconti che mi hanno fatto venire i brividi.

Lì c’è stato il germoglio di un libro diverso, importante non perché l’abbia scritto io ma perché, a distanza di tanti anni, l’aspetto del dolore in quanto tale è stato superato, l’arrabbiatura sulla causa della morte anche, quindi sono venuti fuori dei racconti molto sinceri. Situazioni e storie che mi hanno consegnato sfaccettature diverse del personaggio Ayrton Senna».

 A distanza di oltre 30 anni, se ripensa a quel giorno del 1994 vissuto in redazione, quali sensazioni e ricordi affiorano?
«È successo qualcosa che il mondo della Formula 1 non può tollerare. Era il pilota più grande, quello più acclamato, con la macchina tecnicamente più avanzata. Si è ammazzato alla curva del Tamburello, che curva non è. Ricordo che tutti gli incidenti che si erano verificati in precedenza in quel punto avevano sempre come causa un cedimento meccanico, mai un errore del pilota.

Dover mettere in conto il fatto che Magic se ne fosse andato in quella situazione rende come fosse la Formula 1 in quel momento. Tant’è che poi è cambiato tutto a livello regolamentare e organizzativo sulla sicurezza. Un po’ come l’ante Cristo e il dopo Cristo della Formula 1».

Forse ricordi ancora più intensi e duri sono quelli legati al giorno successivo, quando ebbe modo di vedere l’auto incidentata nei panni di “commissario”.
«Non nascondo che quando ho ricevuto la telefonata dal neo-direttore dell’autodromo di Imola non ho dormito. Da una parte c’era la curiosità del cronista che voleva andare a capire, anche perché si parlava di un errore di Ayrton, di un Ayrton poco in forma, scaricando sul morto le responsabilità del sistema.
Dall’altra parte c’era la paura di entrare in un contesto molto borderline». 

Nel suo racconto ci sono dei dettagli su ciò che ha visto che sono molto forti…
«Immagino si riferisca al fatto che dovevo ricostruire la macchina come "esperto commissario" e, a un certo punto, in quel garage buio dove c’era anche la vettura di Ratzenberger, andai a prendere la ruota anteriore destra. Guardando il cofano motore, ho visto della materia grigia e all’improvviso quello che era carbonio, un pezzo di ferro inanimato, è diventato una persona. Mi è venuto un conato di vomito, volevo scappare via. Ho incrociato lo sguardo col direttore dell’autodromo che deve aver capito e mi ha fatto intendere di rimanere lì, perché quello era il ruolo che mi aveva assegnato. Non è stato facile». 

Si può dire che senza il suo lavoro, senza il lavoro di Autosprint, la verità difficilmente sarebbe emersa?
«Non mi voglio prendere quel merito. Ho voluto intitolare il libro “Senna. Le verità” e non “La verità” perché sarebbe stato presuntuoso voler dettare una verità. L’esperienza mi insegna che non esiste una verità, ci sono varie sfaccettature di quello che noi riusciamo a cogliere di ciò che accade. E credo di aver fatto un lavoro serio nel mettere insieme il puzzle, per lasciare al lettore una chiara visione di quello che può essere successo. Con il coraggio della testata: io l’ho saputo dopo da Cavicchi, ma al giornale erano piovute richieste di possibili risarcimenti per miliardi di lire. C’era una pressione fortissima e a me non ne aveva mai parlato, quindi non mi ha mai condizionato nel lavoro che stavo facendo.

Io penso che abbiamo contribuito molto ad accelerare la chiave di lettura. Avendo avuto modo di vedere il piantone e i componenti della macchina, da addetto ai lavori era relativamente semplice arrivare a cos’era successo. Penso che, con l’indagine fatta dall’ottimo Pm Passerini, ci sarebbero arrivati lo stesso.
Di certo noi, mettendo anche un disegno del piantone in copertina per mesi, abbiamo dato l’idea di voler trovare a tutti i costi la verità affinché quello che era accaduto non finisse nell’oblio. E questo è un merito che Autosprint ha diritto di prendersi». 

Tra gli incontri realizzati per scrivere questo libro, ce n’è uno che l'ha colpita particolarmente?
«Ce ne sono diversi, ma ne cito uno in particolare. Parlo di Max Angelelli, figura di riferimento della Dallara, ex pilota professionista, che ha vinto tra l’altro la 24 Ore di Daytona. All’epoca era un ragazzino che correva in Formula 3 in Germania. Mi ha raccontato un episodio che mi ha raggelato. Lui guidava la Safety Car, guidava una macchina non adatta a precedere ventisei vetture di Formula 1. Consapevole di questo, dopo aver fatto un test con l'auto, era rimasto senza freni alla discesa della Rivazza dopo due giri. Consapevole che se ci fosse stato un incidente e avesse dovuto fare più di tre giri, avrebbe rischiato di essere quello che in televisione finiva dritto nella via di fuga. 

Dopo l’incidente al via, ha avuto un approccio all’uso della macchina abbastanza guardingo. Senna lo aveva affiancato nella salita che dalla Tosa porta alla Piratella facendogli intendere a chiari gesti che stava andando troppo piano. Quando c’è stato l’incidente, lui si è sentito colpevole, perché pensava che la pressione delle gomme di Senna fosse calata troppo per la bassa velocità e che quindi l’incidente potesse essere stato causato da questa mancanza di aderenza come qualcuno aveva cominciato a dire.
Per due anni si è svegliato di notte con l’incubo di Senna che lo guardava negli occhi in maniera veemente. Lui mi ha detto proprio di essere stato l’ultimo essere umano a guardare negli occhi Ayrton Senna. Gli è rimasta come gravissima colpa, non ne ha mai parlato né con fidanzata né parenti. Il fatto di averlo raccontato a me è come se in parte lo avesse liberato da questo blocco. E questa è una cosa bellissima, a distanza di trent’anni». 

Senna e Ferrari. Questo matrimonio si sarebbe celebrato se il destino non si fosse accanito su Ayrton?
«Sono sicuro di sì. Montezemolo gli promesso la Ferrari per l’anno successivo se si fosse liberato dal contratto biennale con Frank Williams. È l’unica condizione che aveva messo Montezemolo, ospitando nella sua villa di Pianoro, vicino a Bologna, Senna. Ed è curioso il fatto che non ci fossero né parenti né servitù e sia stato lo stesso Montezemolo a cucinare per Ayrton. Già quella era una scena da film. Sì, sarebbe successo sicuramente».

Perché il mito di Senna è ancora oggi così vivo?
«La chiave è abbastanza semplice e me l’ha data in modo chiaro Giorgio Ascanelli, che è stato uno dei suoi ingegneri di pista. Quello che ha messo in evidenza è un uomo che ha sempre cercato la perfezione in quello che era capace di fare. Lui sarebbe stato eccellente in tutte le cose nelle quali si sarebbe impegnato. Una capacità di concentrazione superiore a qualsiasi altro essere umano conosciuto da Ascanelli. E questo è un valore che si può trasferire nei Gran Premi, nei quali Ayrton è riuscito a fare quei sorpassi non prevedibili («Non c’è cura dove non si possa sorpassare»), ma anche nella preparazione di ogni cosa che lui faceva in vista di una gara. Non è casuale il fatto che si parlasse di lui come di un possibile personaggio dell’Onu o addirittura come candidato alla presidenza del governo brasiliano. È qualcosa che esce dall’immagine limitativa del pilota e la sua aurea riguarda il valore della persona».

Riccardo Canetta

TI RICORDI COSA È SUCCESSO L’ANNO SCORSO A SETTEMBRE?
Ascolta il podcast con le notizie da non dimenticare

Ascolta "Un anno di notizie da non dimenticare 2024" su Spreaker.
Prima Pagina|Archivio|Redazione|Invia un Comunicato Stampa|Pubblicità|Scrivi al Direttore