C'è un angolo della Pro Patria Scherma dove si combatte in un modo diverso, dove il tatto, l'udito e l'istinto valgono più della vista. È il mondo della scherma per non vedenti, un'attività pionieristica che il Maestro Giancarlo Toran, colonna portante e simbolo del club bustocco dal 1980, porta avanti con una passione che va ben oltre la semplice lezione tecnica. La sua esperienza diventa una preziosa testimonianza sui valori più profondi dello sport.
Tarantino di nascita ma bustocco d'adozione schermistica, Toran ha accolto questa sfida una decina di anni fa, quasi per caso. «Mi sono stati inviati, così, come esperimento», racconta, ricordando l'inizio del percorso con i suoi primi due atleti, Laura Tosetto e Alessandro Buratti, entrambi successivamente vincitori di titoli italiani. Fu la dottoressa Tiziana Angilletta a proporgli di provare. Per il Maestro, che aveva dedicato la vita a insegnare un'arte basata su colpo d'occhio e precisione visiva, si apriva un mondo sconosciuto. «Non avevo mai pensato di cimentarmi in questa attività e quando abbiamo iniziato non c’erano punti di riferimento. Ho dovuto crearmi i metodi da solo».
Quella della scherma per non vedenti è ancora una realtà di nicchia, un movimento che sta cercando di farsi strada. «Al momento sono alla Pro Patria alleno tre ragazzi, mentre in Italia, in totale, il totale di praticanti credo non superi i 50», precisa il Maestro; del suo gruppo ora fa parte anche Emanuele Gambossi, l'ultimo arrivato. «Si sta cercando di promuovere questa disciplina perché possa un domani essere approvata dalla Federazione Paralimpica. Per il riconoscimento internazionale servono almeno tre continenti coinvolti e un numero sufficiente di tesserati».
Qui sta il cuore della sua rivoluzione pedagogica. Insegnare la scherma senza poter dire "guarda come faccio" ha significato inventare un nuovo linguaggio. «Il nostro comune modo di parlare si appoggia alla vista - spiega Toran - Diciamo “ora ti faccio vedere”, “guarda lì”, usiamo i gesti... Sono tutte cose che per noi sono naturali mentre così non è per questi ragazzi». Si lavora quindi sulla fiducia, sulla percezione del proprio corpo, appoggiando la mano sulla loro, sul braccio, per far sentire il movimento. Si usano esercizi che per un vedente sarebbero insoliti: arrampicarsi, saltare, passare attraverso una corda per affinare il senso del tempo.
«Bisogna dare loro fiducia nella possibilità di fare determinate cose, come arrampicarsi o saltare. Gesti che tendono soprattutto a creare nella loro mentalità la consapevolezza di poter fare». Gesti che costruiscono una sicurezza fondamentale per chi, una volta in pedana, è completamente solo. «A differenza di altri sport paralimpici, nella scherma quando uno tira è solo in pedana», sottolinea Toran. «Non ha uno a fianco o dietro che lo assista. Una volta che è lì, deve cavartela da solo».
La disciplina è la spada, l'unica possibile perché, a differenza di fioretto e sciabola, non si basa su una convenzione visiva per l'attribuzione del punto. La regola è semplice e tattile: «Una stoccata che non sia stata preceduta da un contatto di ferri non viene ritenuta valida», chiarisce. Per orientarsi, una striscia in leggero rilievo percorre il centro della pedana: è la loro bussola, la linea che li tiene uno di fronte all'altro.
L'esperienza è così formativa che spesso gli atleti vedenti della Pro Patria si allenano con loro, bendati. E scoprono un mondo. «Molti escono stremati da un incontro con un non vedente», confida il Maestro, «perché sono costretti a un'attenzione e a una concentrazione spasmodica. Si acquisisce una maggiore sensibilità tattile, un'attenzione al ritmo, a quel che succede dopo un contatto di ferro. Questo sicuramente fa bene anche a loro».
Al di là dei regolamenti e delle medaglie, la lezione che arriva dalla sala scherma della Pro Patria è universale. È la dimostrazione che i limiti, spesso, glieli mettiamo noi, credendo che non possano fare certe cose. E invece possono. Possono combattere, vincere, laurearsi e prendere la metropolitana da soli la sera tardi. E soprattutto possono insegnare a tutti, con la punta della loro spada, che le barriere più difficili da superare sono quelle che costruiamo nella nostra mente.














