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Busto Arsizio | 27 giugno 2025, 08:15

IL DELITTO DI VIA MILANO. «Viveva qui, ma non lo vedevamo mai». A Castellanza, nel monolocale del presunto killer di Davide

I sigilli della Polizia Scientifica sulla porta, lo sconcerto dei vicini e il ricordo di Gorla che, solo un mese fa, era tornato in quel palazzo per chiedere notizie del suo inquilino, Emanuele Mirti. Viaggio nel complesso di viale Lombardia, dove viveva l’uomo accusato dell’omicidio

Un nome sul citofono accanto a quello della sua vittima. I sigilli della Polizia Scientifica che sbarrano la porta di un monolocale al piano terra, in un corridoio lungo, stretto e illuminato solo a tratti. E le voci sommesse dei vicini, che descrivono un “fantasma”. Nel grande complesso residenziale al numero 98/100 di viale Lombardia, a Castellanza, il giorno dopo il brutale omicidio di Davide Gorla nel suo negozio di Busto Arsizio, l'incredulità si mescola all’anonimato di un palazzo con quasi 60 appartamenti. Qualcuno si ferma a parlare, altri, scossi, preferiscono non dire una parola.

«Era uno che non dava fastidio a nessuno, neanche una musica alta, niente», racconta una residente. Nel grande complesso, Emanuele Mirti, il 50enne operaio fermato con l’accusa di essere il killer, era una presenza silenziosa, quasi invisibile. «Buongiorno, buonasera, al massimo», conferma un altro residente a passeggio con il cane.

Ma è dal racconto di una vicina di casa che emerge il dettaglio più agghiacciante, un filo che lega indissolubilmente vittima e carnefice a quel monolocale. Il proprietario dell’appartamento era proprio Davide Gorla, che in passato aveva abitato lì. «Non abitava più qui da un po’ – spiega la donna – ma l'ho rivisto giusto un mese fa. Era venuto a chiedere notizie. Mi ha domandato: “Avete visto il mio inquilino?”, ma non ci siamo trattenuti a parlare».

Una domanda che, riletta oggi, suona come un tragico presagio. Gorla, il padrone di casa, si informava sul suo affittuario. Un rapporto che, secondo gli inquirenti, si sarebbe incrinato fino a sfociare nella violenza più efferata.

Ora la porta del monolocale di Mirti è chiusa, invalicabile. Nel corridoio del piano terra, i vicini scuotono la testa. «Non lo si vedeva quasi mai – racconta un’altra residente – Abitava in fondo al corridoio, noi siamo dall'altra parte. Certo, fa impressione pensare che la polizia sia venuta qui. Sono cose che vedi solo in televisione e poi ti ritrovi dentro a un film». Una storia che nessuno, in quel palazzo di viale Lombardia, avrebbe mai potuto immaginare. Una storia nata probabilmente tra (e per) quattro mura e finita nel sangue, in un negozio del centro di Busto.

GioFe

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