Ieri... oggi, è già domani | 18 aprile 2024, 06:00

"a brenta" - il mastello

Poi, da giovanotto, avevamo un locale adibito a lavanderia e lì, c'era meno cicaleccio per via della dislocazione familiare che non consentiva un rapporto diretto per chi effettuava lo stesso mestiere

"a brenta" - il mastello

Ricordo mia madre, armeggiare intorno alla "brenta", il classico mastello di legno su cui si appoggiava l'asse che consentiva di distendere i panni e di effettuare il bucato a suon di "olio di gomito" (come si diceva allora), con la lisciva ad ammorbidire i panni e "ul saòn" (il sapone) a consentire alla massaia di togliere le macchie e lo sporco, con una spazzola con setole dure.

L'operazione avveniva quasi ogni giorno: "cun tri omàn in cò" (con tre uomini in casa -babbo, io e zio Giannino), "ghe non sta stò fermi" (non c'è da star fermi) - alla "poesia" delle case di ringhiera, si aggiungeva quella delle donne al lavatoio che in taluni caseggiati era utilizzato da più famiglie, mentre dove abitavamo noi, di famiglie ce n'erano tre con 5-4-4 perone con un totale di 13 e, le mamme si rifugiavano in cortile, per lavare (nella stagione estiva) o in cucina, in quella fredda.

Poi, da giovanotto, avevamo un locale adibito a  lavanderia e lì, c'era meno cicaleccio per via della dislocazione familiare che non consentiva un rapporto diretto per chi effettuava lo stesso mestiere. C'era poi lo stendere dei panni lavati e si assisteva a un'esposizione di tutto un po'; personalismi di raffinatezza, specie per chi aveva figlie femmine. Il "bucato" (in verità si diceva "a bugòa") aveva precise fasi: lenzuola e federe, un giorno - indumenti intimi, un altro giorno - indumenti "pesanti" un altro ancora - la fatica di mamma era quasi improba, specie nei momenti in cui lavava le tute da lavoro o gli indumenti indossati quando gli uomini lavoravano nel campo o in giardino (come faceva papà) quando era alle prese con le "proese" (piccoli appezzamenti di terra dove si coltivavano le verdure di ogni specie) - per il lavoro nei campi, "a foea" (che in buona sostanza vuol dire "fuori" dovuto al fatto che i campi da accudire erano dislocati "fuori - lontani" dalle abitazioni e dentro un'area circoscritta alla bisogna), tutti gli indumenti indossati, si riempivano di terra, di sudiciume e di sudore - lo sa mamma, quanto doveva "fregunò" (fregare, dar di gomito) per arrivare al pulito.

Sul corridoio fuori dalle stanze per la notte, c'erano tre fili di ferro ricoperti di plastica, dove si stendeva tutto - anche lì, c'era il pretesto per un dialogo convenevole e per ribadire "strategie" sulla cucina, i piatti da preparare e quelli di "bon cumandu" che erano i piatti semplici, frugali che la massaia preparava con precisione inaudita - qui, mamma, ammetteva  la sua scarsa propensione nei confronti dell'arte culinaria. Soleva dire "preferissu lavò 'na brenta piena da robi, putostu da fò da mangiò" (preferisco lavare un mastello colmo di "robe" piuttosto di preparare il cibo" - in realtà, noi tre uomini, non ci lamentavamo e quel che preparava mamma (la mia mitica Pierina) era succulento, appetitoso e mai nessuno lasciava "avanzi" nel piatto.

Subentra nella Narrativa, Giusepèn che mi chiede subito "parche t'e tiò'n bal a to moma  e i sacrifizi di donn in chei tempi?" (perché hai tirato in ballo, tua madre e i sacrifici delle donne di quei tempi?) - in verità, non l'ho fatto apposta. Non c'è una ragione specifica, ma al Bar ho sentito due gentili signore, con addosso tute-variopinte, non proprio in ordine e visibilmente "reduci" da una faticaccia che nella conversazione dicevano "ho fatto due ore di tennis, poi un giro al parco di oltre un'ora e adesso mi sento stremata" - l'altra rispondeva "io, la sgambata, la faccio ogni mattina. Magari di due ore, poi se avanzo tempo, mi metto a posto e vengo in centro per piccole cose, ma pure per dare un'occhiata alle vetrine dei negozi".

Tutto qui, Giusepèn. Solo per sottolineare la differenza di fatica, di incombenze e di interesse per le "cose di casa" - E' il progresso -replica Giusepèn in un perfetto italiano-  ma "al gà rasòn ul Fabrizi candu al canta ….."'na donna dentro casa è 'naltra cosa" ha ragione Aldo Fabrizi quando canta una donna dentro casa è un'altra cosa.e "ciapamala m'à la vegn".

 

Gianluigi Marcora

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