Ieri... oggi, è già domani | 23 settembre 2022, 10:36

" cantò pulidu"" - cantare bene

C'è un velo di nostalgia, nello sguardo di Giusepèn

" cantò pulidu"" - cantare bene

C'è un velo di nostalgia, nello sguardo di Giusepèn. Il suo "Dialetto Bustocco da strada" fa miracoli. Tira in ballo aneddoti antichi che evocano momenti strepitosi sui rapporti umani fra la "gente di cortile" e il resto del mondo.

"ul to nonu Pasqualeau e a to zia Teresa i furmean 'ndueto da Scala. A genti, a sentì, i curean" (tuo nonno Pasquale e tua zia Teresa -figlia di nonno- formavano un duetto da Scala. Le persone -del vicinato- accorrevano) ovviamente per gustare questa "rappresentazione" che andava dal Mazzolin di fiori all'opera lirica.

La voce di nonno era tipicamente baritonale. Toni profondi e cadenzati, con acuti che andavano a modulare la cadenza e la rendeva sottile, per accordarsi a quelli di zia Teresa. La zia aveva una voce sottile che "si sposava" coi toni grevi di nonno, per arrivare alla fine del brano con una sintonia splendida. Non c'ero, allora. Mi ragguagliava papà su come avveniva il canto in cortile, specie nei giorni di festa; quindi non solo la domenica. La gente ascoltava, in religioso silenzio.

Quindi, sentire una Turandot o un Barbiere di Siviglia a due voci (ma soprattutto a due tonalità) era come ascoltare Bocelli padre insieme a Bocelli figlio. La peculiarità, tuttavia era la voce maschile in un amalgama perfetto con la voce femminile, senza creare protagonismi, ma il Protagonismo era dentro quel unisono del tutto particolare.

Poi, c'era la "variante". La parte cantata da nonno, passava a zia Teresa e le loro voci all'unisono, diventavano armonia, per palati fini in fatto di musica, ma pure per la gente che aveva mai sentito un'opera lirica per radio, ma si innamorava del "bel canto" proprio ascoltando nonno e zia, dentro un concerto a due voci, senza l'ausilio dell'orchestra.

Il "palcoscenico" era il cortile, con una tavolata contadina. Dopo un frugale pasto, ecco la cantata. "dai, Pasqualeau ciama a to Teresa e femi sentìi 'na canzòn" (suvvia, Pasquale, chiama tua figlia Teresa e fateci ascoltare una canzone) - per i non competenti del "bel canto", era tutto "canzone" e, invece di una "canzone" si ascoltavano opere liriche che il nonno e la zia avevano imparato, ascoltando la radio.

Mi affascina, la spiegazione di Giusepèn, mentre mi illustra con le parole, ma soprattutto con l'anima, ciò che avveniva allora. La Boheme era di casa, Madame Butterfly diventava amica col suo "un bel dì vedremo" pieno di speranza e perfino Aida aveva una connotazione familiare che la gente apostrofava  con "a Ida" nel casereccio invito "Pasqualeau canta a Ida". Un sorso di vino dopo una o due esibizioni, davano il là a nonno e zia per una "performance" grandiosa. E quando calavano le ombre della sera, il "pubblico" 15 persone o forse più, prendeva la strada di casa, contente di avere conosciuto due immensi canterini.

"Nogn" (noi dice Giusepèn) "andem cunt'ul Nocino" (andiamo col Nocino). E vedo dai suoi "occhietti furbi" una specie di rammarico, quando catechizza "ti te imparà non a cantà" (tu non hai imparato a cantare) …. e meno male, dico io a bassa voce. Avrebbero guaito anche i cani.

 

Gianluigi Marcora

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