«Un'altra volta chiusi». I dipendenti del "Capri" di Busto Arsizio ieri sera subito hanno espresso tutto il loro sconforto a Gino Savino. E lui è altrettanto demoralizzato, come tutti i colleghi che in queste settimane di zona gialla si erano addirittura affidati alla speranza di poter riaprire la sera: macché e intanto da lunedì si cambia colore: stop ai pranzi nei locali, solo asporto e domicilio.
Zona arancione, ma è nero il morale. Tanti ristoratori avevano soppresso il riposo per poter lavorare almeno a pranzo tutti i giorni, anche perché la gente aveva questo desiderio di tornare al ristorante. Anche chi andava al lavoro, invece di mangiare il panino in auto, poteva avere un sollievo, un luogo sicuro e accogliente.
Molti sforzi, per che cosa? «Siamo stanchi di subire - esclama Savino, che come referente Fipe raccoglie l'amarezza di tanti colleghi - Anche solo lavorare a pranzo era qualcosa, dava una continuità».
La rabbia e la disperazione crescono: «Abbiamo sempre mantenuto un certo stile, non siamo mai scesi in piazza. Forse è ora di cambiare dopo un anno in queste condizioni».
Al Capri, Gino Savino non ha problemi a mostrare i conti: «Abbiamo perso 800mila euro. I ristori? Sono arrivati fino a novembre, 30mila euro». La differenza è dolorosamente chiara. Con ulteriori pesi che fanno perdere la testa, suonando come paradossi per usare un eufemismo: «Tra il canone Rai e i televisori con la Siae, ci fanno pagare circa 3mila euro». E i rifornimenti effettuati, per affrontare i prossimi giorni: che fine faranno? Altre risorse buttate.
Non ne possono più, titolari e dipendenti.
Che cosa chiedono i ristoratori? Di ripensarci o di aiutarli, ma sul serio: «Almeno ci diano i ristori, ma davvero - sostiene Savino - Anche se è meglio lavorare. È passato un anno ormai, non ci si può trovare in queste condizioni. Da settimana prossima tutto il mondo lavorerà, tranne noi».