Tiene il fatturato, cresce l'export a doppia cifra verso mercati come quello francese e tedesco e la reputazione del nostro tessile abbigliamento moda è solida. Ma lo sono anche i problemi e vanno affrontati con una consapevolezza piena. A partire dalla politica, ma con un'attenzione complessiva.
È lucido, dettagliato, determinato l'intervento del presidente di Sistema Moda Italia, il varesino Sergio Tamborini a Milano nel tratteggiare l'anno che si conclude per il comparto. Si parte dalle cifre che fotografano un settore, pur dovendo di fatto dividere in due il 2023, «anno a doppia faccia»: i primi sei mesi sono andati bene, ma quelli successivi hanno registrato una frenata e l'avvio del 2024 appare come andamento più simile allo scorcio finale di quest'anno. Il fatturato è infatti pari a 64,4 miliardi di euro, con un incremento del 3%, in un mondo di 41.380 aziende e 372.600 addetti.
L'export è una partita molto europea. Nei primi otto mesi è cresciuto di 3 miliardi, quindi del 12% in Francia e di 2,6 miliardi, pari a +10%, in Germania. Il fronte import però ci ricorda la forte dipendenza, a cominciare dalle materie prime in un settore come quello serico che è totalmente legato alla Cina, per il 95%.
È quindi elemento positivo la crescita del fatturato ma non deve trarre in inganno. Ed è fondamentale che le fabbriche rimangano fondamentali nel sistema. Anche come attrattività nei confronti dei ragazzi.
Tamborini ha ribadito l'azione di Smi su più fronti, l'attività istituzionale su temi come credito d'imposta, patto per l'export ed Epr, ovvero responsabilità estesa del produttore sul fronte dei rifiuti.
Ma ha anche ribadito l'importanza di usare ad esempio il contratto come uno strumento per far sì che le fabbriche possono essere un luogo attrattivo, o quanto meno non scartato a priori dei giovani: «Abbiamo bisogno di portare le persone all'interno del sistema e di mostrare la dignità del lavoro manuale delle fabbriche». C'è molto da lavorare sull'educazione in questo senso e non solo per quanto riguarda i giovani.
Esiste infatti una grande incongruenza: «Oggi abbiamo marchi che non si conoscevano otto anni fa in un anno e non hanno punti di vendita. Eppure sono in grado di vendere 30 miliardi di prodotto all'anno a prezzi medi ridicoli, spesso acquisiti dai giovani che poi fanno della sostenibilità una bandiera importante. In questo tema devono essere educati tutti, chi produce, la politica, i consumatori».