Un racconto corale a più voci, le voci di chi ha incontrato don Lolo nel suo cammino, in oratorio sul campo di calcio, al liceo, nella comunità Marco Riva, al settimanale “Luce”. Tutti punti di vista con un obiettivo fermo: don Isidoro Meschi santo, una persona santa. Lo ha definito così il parroco dei Santi Apostoli a Busto Arsizio don Maurizio Bianchi. Stessa definizione anche dalla voce dei suoi amici, colleghi, i cinquantenni che negli anni Settanta erano stati i suoi ragazzi dell’oratorio.
Così ieri al teatro Sant’Anna è stato messo in scena un evento teatrale, semplice, ma quantomai significativo che ha alternato parti recitate con i ricordi più belli del prete amato dalla città e brani intonati da coro e chitarre scritti da un ragazzo dell’oratorio. «Voci di bambini e adolescenti – ha esordito Augusta Daverio presidente degli “Amici di don Isidoro” – di giovani fragili e disperati, del suo amico don Angelo Casati, di alcuni ex allievi del liceo dove don Lolo era uno degli insegnanti più amati. Nello staff anche una bimba ucraina, Anita, che ci permette di ricordare la situazione drammatica di quel popolo sconvolto dalla guerra».
Così con una parola per non dimenticare chi sta soffrendo si è aperta la serata che è proseguita all’insegna dei ricordi del prete del sorriso che amava la vita. «Lolo sapeva sempre sorridere, con Lolo non si scherzava sulla puntualità, non sprecava le parole, lui era chiaro ed essenziale, aveva un passo svelto specchio della sua personalità». Poi è stato inquadrato nello sport: attivissimo nelle gare di ciclismo a cronometro, sui campi di calcio quando “segna e vince, la carica del don”. Con i giovani: «Era fortissima la sua passione per i giovani. Ci ha insegnato come si potesse restare insieme accontentandosi di poco. Così il don intendeva la vita: grinta, determinazione e impegno. La riassumeva così, con tre parole». Con gli studenti del liceo classico: «Ci ha insegnato l’amore per la verità, ci diceva che studiare la Bibbia non è il dovere solo del credente, ma di ogni uomo che vuole andare alla ricerca della propria identità. Ci ha abilitato a percorrere anche le strade più insidiose. Ci ha fatto assaporare la bellezza della libertà intellettuale, sapeva cogliere il positivo di ognuno e lo faceva con discrezione, intuito e intelligenza».
Toccanti le parole scritte da un ragazzo della comunità Marco Riva, abbandonato dalla madre dopo il parto, ma che ha imparato cosa significa perdono. «Mamma, non mi sono mai rassegnato a questo distacco, ti cerco perché ti ho perdonato, mi piacerebbe stringerti perché ho bisogno di quell’amore che so che anche tu stai desiderando, non ti giudico perché mi hai lasciato la cosa più bella: la vita». E il perdono che si legge sul diario di quel ragazzo disperato glielo ha insegnato il prete amato da tutti.
Belle anche le parole lasciate da don Casati: «C’era in don Lolo un “oltre” che lo abitava: in un articolo scritto su Luce aveva tracciato il quadro perfetto del prete definito come uomo di misura, con discrete capacità amministrative e tanto altro. Insomma don Lolo era un sacerdote a cui importava l’altro, il bene del prossimo. Un prete santo, dove santità non significa erigere un monumento di perfezione».
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