Fabrizio Bianchi ha fatto la sua prima esperienza teatrale da ragazzino, e da lì ha capito che il teatro è educativo. Mette al centro le persone, facendole crescere senza pressioni, permettendo di scoprirsi e conoscersi. Non è un semplice intrattenimento, ma lascia insegnamenti e spunti di riflessione. Per questo, ha deciso di insegnarlo, e racconta la sua vicenda.
«Sono stato folgorato dalla prima volta che sono salito sul palcoscenico. È un bellissimo ricordo. Ho fatto un monologo del mitico Paolo Rossi, e ho cominciato a vedere lo sguardo dei miei compagni che cambiava: i loro occhi sono diventati improvvisamente luminosi». Così Fabrizio racconta la sua prima volta sul palcoscenico, a 12 anni.
Non era un ragazzino che spiccava per protagonismo, e nemmeno un punto di riferimento per i compagni. In quel momento, però, si è sentito speciale. Ha capito che stava scoprendo qualcosa per se stesso. Una sensazione indelebile nella sua mente: «Ancora adesso mi ricordo dei fari: quando si sale sul palcoscenico si ha un muro di luce, e al di là c’è il buio. Si vede a malapena la prima fila. Questa sensazione della prima volta ce l’ho ancora dentro. Se chiudo gli occhi, posso immaginare di nuovo quella volta», dice.
Facendo la propria esperienza, Fabrizio ha capito che il teatro può essere uno strumento di crescita. Spiega: «Mette al centro la persona – che sia un bambino, un ragazzo o un adulto – e le dà la possibilità, all’interno di un processo di lavoro, con i tempi di un processo di lavoro – quindi, senza un giudizio costante – di aprirsi, di mettersi in gioco e di scoprire delle risorse che, magari, neanche si sapeva di avere».
Nel 2008 Fabrizio ha iniziato a lavorare nelle scuole per insegnare teatro ai bambini, e poi ha deciso di fondare una propria scuola di teatro: Viandanti Teatranti. La compagnia offre anche corsi per ragazzi – divisi in 4 fasce d’età – e vanta la produzione di alcuni spettacoli dedicati ai più giovani: “Il principe azzurrognolo”, “Storia di uno scrittore e della macchina che gli insegnò a scrivere”, “Cappuccetto Rosso + o – (più meno che più)”, “Diario di Cigno (Andrea Cignaghi, 2^B)”.
Le rappresentazioni teatrali non sono solo un intrattenimento momentaneo. Mandano messaggi particolari, fanno sorgere dubbi, domande e curiosità, offrono spunti di riflessione. «Il teatro non è solo un modo per passare il tempo, come la televisione o i video di YouTube. Il teatro deve darti qualcosa. È un rito magico, che si svolge in presenza, e fa incontrare le persone»; queste le parole di Fabrizio.
Proprio un insegnamento è al centro di “O protagonisti o nessuno”, la nuova stagione del teatro San Giovanni Bosco a Busto Arsizio. Fabrizio, che ha contribuito all’organizzazione, presenta gli appuntamenti dedicati ai bambini. Si comincia il 6 novembre con “Pepe e Ciro all’avventura”, per proseguire con “La vera mamma di Ulisse” il 4 dicembre, “To play – Il posto dei bambini” il 15 gennaio, “Il mercante di sole” – dei Viandanti Teatranti – il 19 febbraio e “Le lettere volanti” il 26 marzo.
Questi spettacoli invitano ad essere protagonisti, ma non in maniera egocentrica: si fa qualcosa per qualcuno e con qualcuno. Spiega Fabrizio: «Serve uno spazio, serve un tempo, serve una guida, servono dei compagni che hanno voglia di fare un’esperienza che va al di là del banco, che fa vedere il mondo dal punto di vista dei fruitori, di fronte. Il teatro cambia questo modo di vedere: la prima cosa che fa è mettere le persone in cerchio e farle guardare negli occhi. Questo è davvero importante, è il nucleo: darsi uno spazio e un tempo in cui potersi esprimere e poter conoscere se stessi da un altro punto di vista, che parte dal nostro corpo e, di conseguenza, dalle nostre emozioni, perché noi siamo un tutt’uno».
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