«Jack era un rivoluzionario senza la spada. Usava i suoi occhi come telecamere, la parola come arma contro i soprusi e le violenze. La sua era una feroce tenerezza». Gaetano Blaiotta è affranto per l’improvvisa scomparsa dell’amico Jack Hirschman, avvenuta nel sonno a 87 anni nella sua casa di Union Street a San Francisco.
Il poeta americano, nato nel Bronx il 13 dicembre 1933, fu in gioventù docente di letteratura inglese all’Università della California di Los Angeles, dove fu licenziano nel 1966 per aver manifestato contro la guerra in Vietnam e attribuito agli studenti il massimo dei voti per non farli arruolare nell’esercito.
«Lo conobbi nel 1993, quando Musolino, dell’Arci di Varese, lo invitò al Gaggio di Bodio Lomnago per una lettura poetica dai suoi libri. Nacque un’amicizia, ricordo che con Sandro Sardella lo accompagnavamo all’aeroporto con i suoi valigioni. I primi anni veniva solo, poi arrivò con la moglie, Agneta Falk, che viveva nello Yorkshire e sposò nel 1999. Gli mandai un libretto con una sua poesia tradotta e un mio scritto, “Storia dai bassifondi”, con una fotografia di Giorgio Matticchio, per solidarietà verso la sua infinita attenzione nei confronti degli emarginati», ricorda Blaiotta, oggi editore con Maria Elena Danelli per i tipi di GaEle.
«Jack mi ha trasmesso la sua grande umanità, l’impegno di essere vicino agli ultimi. I suoi scritti facevano fischiare le orecchie al potere, ed era sempre attento a seminare qualcosa, a trasmettere la sua poesia ai ragazzi, a farli crescere. A giorni sarebbe venuto in Italia e di nuovo a Varese, a Baronissi aveva il suo editore italiano, Pier Paolo Iagulli di Multimedia, e la traduttrice Raffaella Marzano, e il 29 agosto avrebbe dovuto presentare le sue poesie. Mi scrisse una lirica in albanese, “Kallatumba”, che significa capitombolo, sapendo delle mie lontane origini e me la dedicò. Un verso recita: “Ragazza, ti voglio bene come un fiore della rivoluzione”».
Hirschman tradusse anche due poesie di Gaetano, dedicate alla guerra in Kossovo e a quella in Palestina: «Di una ricavai un libretto pubblicato dalle edizioni del Pulcinoelefante, con il mio testo e la sua traduzione, e una incisione da un disegno di Ibrahim Kodra realizzata da Adriano Porazzi. Lo vidi l’ultima volta a Monza il 27 settembre 2019, era un vecchio ieratico, un omone che si muoveva con un lungo bastone. Su Youtube ho messo il video che gli girai mentre leggeva “Path”, una sua toccante lirica che si conclude con il verso: “Scrivi la poesia”, che è un po’ il suo manifesto».
Vivido anche il ricordo di Sandro Sardella, che ospitò Jack a casa sua diverse volte. «Ci conoscemmo nella circostanza raccontata da Gaetano, Hirschman si sarebbe trattenuto a Varese un paio di giorni e mi offersi di ospitarlo da me alla Rasa. La nostra amicizia nacque allora, lui tradusse il mio libro “Coriandoli” e lo pubblicò con un editore di San Diego. Prima me ne aveva parlato il poeta Ferruccio Brugnaro, che lui aveva tradotto, assieme ad altri italiani come Scotellaro, Pasolini, Gatto e Masala. Aveva l’arte di far incontrare le persone, le metteva in contatto in nome della poesia. Era un uomo di grande generosità, non saliva mai in cattedra, aveva una estrema attenzione verso il fare altrui e per le giovani generazioni, a cui dava ascolto», ricorda Sardella, che da Jack fu invitato nel 2012 a San Francisco, al Festival internazionale di poesia.
«Ho avuto il grande privilegio di essere apprezzato da lui come poeta e come pittore e di leggere i miei testi davanti a poeti di tutto il mondo e a personaggi come Lawrence Ferlinghetti. Jack Hirschman dava retta a tutti, non si atteggiava mai a primadonna, era un uomo di estrema discrezione, non era il maestro ma un amico che portava ad altri amici. Ci siamo scritti via mail il 17 agosto, e mi è appena arrivata una sua antologia “Building socialism 2”. Jack stava bene, mi diceva: “Sono un vecchio giurassico”, ed era felice di venire in Italia tra pochi giorni. I suoi “Arcanes” sono il racconto epico della caduta dell’impero americano del ‘900, dopo Allen Ginsberg nessuno come lui ha saputo descrivere l’America. La sua scomparsa lascia una scia di umanità lotta e poesia, per lui il comunismo era un desiderio di felicità, di una vita migliore, al di là dell’ideologia».
Il mio ricordo personale di Jack Hirschman risale a 15 anni fa, a un pomeriggio di primavera nella “Casa nel giardino” di Gaetano Blaiotta a Casalzuigno, una piccola festa tra amici, il pranzo e le torte, le risate e il vino, tanta poesia letta e immaginata.
Portai un grammofono a tromba e dei dischi, Jack aveva mangiato parecchio e sonnecchiava su una vecchia poltrona di vimini, accanto a lui la moglie Agneta che non lo lasciava mai. Il giardino era pervaso dei profumi di una giovane primavera, c’era la voglia di stare assieme e chiacchierare.
Misi il primo disco, poi il secondo, canzoni italiane degli anni dieci, tanghi, valzer languorosi, impossibile rimanere indifferenti a quelle melodie senza tempo, quasi sospese. Allora, il poeta rivoluzionario, l’artista dei mille arcani, si alzò di colpo dalla poltroncina, si mise il panama bianco e con un inchino invitò Agneta a ballare, stregato da quelle “italian songs”. Negli occhi aveva un lampo di felicità.