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Economia | 13 aprile 2021, 10:51

Il distretto industriale secondo un tigrotto: una "squadra" ancora vincente

L'interessante tesi di Andrea Boffelli, giocatore della Pro Patria (autore domenica del gol della bandiera contro il Novara), laureato in Economia aziendale. Identità, sguardo al futuro e azione corale tra gli elementi analizzati per questo modello economico italiano che ha ancora molto da dire con la rivoluzione 4.0

Il distretto industriale secondo un tigrotto: una "squadra" ancora vincente

Sguardo al futuro, attaccamento alle proprie radici e capacità di fare gruppo: è un po’ lo spirito di una tesi di laurea di uno studente speciale. Un tigrotto, che domenica scorsa ha segnato il gol della bandiera contro il Novara (LEGGI QUI) tra l’altro, Andrea Boffelli.

Andrea, classe 1997 e maglia numero 13 della Pro Patria, si è laureato il mese scorso in Economia aziendale all’Università degli Studi di Bergamo con la tesi “Itineriario nella storia dei distretti industriali”,  relatrice la professoressa Stefania Licini.

Un viaggio doppiamente interessante, con la lente puntata sui distretti industriali appunto. Da lui fotografati come capaci di «primeggiare nell’economia italiana e sostituire la grande impresa», questo riuscendo a conquistare un sempre maggior numero di mercati stranieri. Ma la tesi esplora anche i problemi, come le prospettive.  Con il distretto che in fondo rivela anche il volto di una squadra.

Viaggio e ispirazione

Questo viaggio – denota il neo dottore Boffelli – è anche una metamorfosi di realtà che hanno dovuto adattarsi per sopravvivere nell’economia globale, e ancora dovranno farlo. Come? Stando al passo con l’industria 4.0, ad esempio, via maestra in termini di investimenti e formazione come dimostra la recente storia imprenditoriale del nostro Paese: quindi digitalizzazione e innovazione continua. Scelta importante per loro, e per l’Italia, perché producono la maggior parte del Pil italiano, quindi restano uno strumento essenziale.

C’è un passaggio che si fa notare particolarmente, forse perché silenziosamente rimanda ad alcuni principi del calcio in cui si sta cimentando Boffelli, forgiato dal modello Pro Patria. È quello “motivazionale”. Perché il calciatore - in una società che tiene allo studio, a partire dal direttore sportivo Sandro Turotti -  ha scelto proprio questo tema per la sua ricerca? Da una parte – spiega -  l’ha ispirato l’interesse per il modello organizzativo economico dei distretti industriali, ma c’è anche  «la curiosità personale verso l’economia del mio territorio locale».

Boffelli viene infatti dalla provincia di Bergamo, dove si può trovare un distretto di peso nazionale, quello della gomma. Insomma, sguardo al futuro e identità, due elementi della filosofia biancoblù.

Si cambia

Nella tesi, il neolaureato parte dal Dopoguerra, e dalla grande industria sbocciata dall’area Torino-Milano, il miracolo economico firmato da colossi quali Fiat, Italcementi, Eni. Già a metà degli anni Sessanta, si insinuano fattori che cambiano in parte la situazioni: oltre alle politiche industriali, le tensioni sul mercato del lavoro, arrivando alle crisi energetiche del decennio successivo, con una crisi non solo nazionale. Certo però l’Italia pagò un prezzo elevato e vide scomparire interi settori, in alternativa «venduti ad imprese multinazionali come la chimica, l’elettronica da ufficio e quella di consumo per fare qualche esempio». In alcuni casi sono intervenuti lo Stato e le banche.

La risposta passa dai piccoli, da quell’artigianato sempre più specializzato che raggruppa i distretti industriali nei territori.  Boffelli prende la definizione di Piero Bolchini, «agglomerati di piccole imprese impegnate in settori specializzati di nicchia, legate dalla condivisione di valori e da istituzioni in modo da formare un sistema locale in grado di produrre esternalità positive per confrontarsi con i mercati attraverso i risultati della produzione».

Distretto è efficienza, che si nutre però del gradimento dei consumatori. Ed è anche la capacità di internazionalizzarsi, oltre i punti di debolezza: uno su tutti, l’immagine dell’Italia all’estero, una caduta di reputazione non attribuibile alle imprese ma di cui esse hanno risentito, per tutte le ripercussioni.

Gli anni Novanta vedono materializzarsi gli effetti di queste difficoltà e si fa strada la delocalizzazione che non tocca solo le grandi società ma gli stessi distretti, cominciando da quelli con «imprese di medie dimensioni con destinazione verso l’Est europeo e anche fino ai paesi asiatici per avere vantaggi competitivi di costo e di risorse».

Un territorio e un futuro

Quali sono le chiavi della sopravvivenza, in questo quadro? Boffelli ne cita diverse, partendo dall’abilità di uscire dagli schemi, valorizzare le risorse e cogliere le chance della globalizzazione monitorandola  al contempo.  

Il viaggio prosegue analizzando il rapporto con il contesto locale. Lo sviluppo sul territorio porta peculiarità che non possono essere spostate, quindi costituiscono un vantaggio competitivo. Ma c’è anche il «desiderio delle comunità locali di governare il proprio sviluppo attraverso forme di imprenditorialità diffusa, capaci di dare vita a modelli competitivi di successo a livello mondiale senza tuttavia rinunciare ai legami forti con le proprie risorse e la propria cultura». Distretti anche culturali, dunque, che però devono ampliare dimensioni e visioni.

Allora ecco la trasformazione dalla metà degli anni Novanta,  il salto tecnologico, l’acuirsi dei problemi a cui non si è sempre saputo rispondere con sufficiente dinamismo. Pesano anche i limiti di sistema.

Serve – si afferma nella tesi - «l’abbandono di posizioni difensive in favore di una maggiore flessibilità e apertura verso l’esterno sia in termini di delocalizzazione sia come internazionalizzazione delle conoscenze».

Due sfide da vincere

Le due grandi sfide da vincere, sono innovazione e internazionalizzazione. Il solo risparmio dei costi non porta lontano, fa rientrare in quella linea difensiva che non è sufficiente, anzi può rivelarsi dannosa « rischiando di sgretolare il patrimonio di conoscenze e relazioni interne tipiche dei distretti». Emerge poi un’altra carenza, quella di  interventi di politica economica.

Senza dimenticare che ai Governi spetta anche il compito di eliminare le cause strutturali della crisi. 

Molto altro, andrebbe affrontato in questa direzione, ora che si sta vivendo la prova della nuova sfida tecnologica. È la rivoluzione industriale del 4.0, l’incontro tra una produzione più rapida e meno costosa, ma anche capace di rispondere sempre più in modo personalizzato al cliente.  Occasioni offerte dalla stampante 3d e della manifattura additiva, con i big data grande tesoro da ben maneggiare.

Le piccole e medie imprese hanno davanti a sé nuove prospettive, con una condivisione di conoscenze su ampia scala, che però non deve eliminare i legami sul territorio, sbaglio che potrebbe rivelarsi fatale.

Così la digitalizzazione deve sì spingere ad ampliare i mercati, ma anche a unire le forze.  Più cooperazione tra aziende, più sinergia  tra l’intervento pubblico e le strategie d’impresa.

Il finale di Andrea Boffelli è così fedele al viaggio del distretto che assomiglia molto a una squadra: «il risultato degli sforzi di una pluralità di protagonisti e non delle azioni di un solo giocatore dominante».

Marilena Lualdi


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