A Gallarate, Forza Italia somiglia sempre di più a un condominio litigioso, tra porte che sbattono e assemblee tese. Chi sperava in una tregua post-congressuale, magari accompagnata da buoni propositi e spirito unitario, ha dovuto presto ricredersi. A distanza di mesi, le ferite non solo non si sono rimarginate, ma sembrano essersi trasformate in linee di faglia sempre più evidenti.
Il punto di rottura, l’ultimo in ordine di tempo, emerso in un’accesa riunione in sede la scorsa settimana, ruoterebbe attorno alle comunicazioni relative al bilancio, alle tessere e ai contributi al partito.
Al centro della scena c’è il vicesindaco Rocco Longobardi, figura che da mesi catalizza critiche da una parte del partito e che ora ha deciso di smettere i panni dell’attesa per indossare quelli della replica. Con una presa di posizione netta, rivendicata come necessaria per ristabilire confini, ruoli e responsabilità. Longobardi non nega il conflitto, ma respinge l’idea di essere il detonatore unico di una crisi che, a suo avviso, ha radici ben più profonde.
«Trovo particolarmente grave che vengano fatte circolare ricostruzioni parziali, quando non apertamente fuorvianti, e che finiscono per alimentare una narrazione distorta dei fatti», afferma Longobardi. Una linea che ritorna anche sul piano amministrativo, dove rivendica il rispetto dei ruoli e delle procedure per quanto riguarda il bilancio: «Il bilancio segue un percorso tecnico-amministrativo preciso, che passa dagli uffici, dagli assessori competenti, dalla giunta e dagli organismi istituzionali. È un dato di fatto che il segretario abbia partecipato ai momenti di confronto, compresa la cabina di regia. Scaricare ora su di me presunte mancanze informative significa capovolgere consapevolmente i ruoli». Sul piano politico chiarisce il senso della sua posizione complessiva: «Non accetto di diventare il capro espiatorio per errori, omissioni o scelte politiche altrui». Un messaggio che, pur mantenendo aperta la disponibilità a un confronto, segna un punto fermo nel rapporto con il partito e con le sue attuali dinamiche interne.
Il capitolo più sensibile, quello che accende gli animi e alimenta le mezze frasi è il tesseramento. In politica le tessere sono numeri, certo, ma anche simboli di consenso, legittimazione e potere interno. Longobardi respinge ogni ombra, definendo gravissimo anche solo suggerire collegamenti impropri, e ribadisce che il tesseramento segue regole precise e verificabili.
Sul tavolo restano anche i contributi economici, altro tema capace di dividere. Qui la linea di Longobardi è chiara: nessun obbligo, solo una scelta volontaria, esercitata per anni e sospesa quando, a suo giudizio, il progetto condiviso ha smesso di essere tale. Non una rottura definitiva, ma una pausa motivata come gesto di coerenza. Anche in questo caso, due letture opposte che convivono senza incontrarsi davvero: da una parte chi vedrebbe una mancanza, dall’altra chi rivendica una scelta politica.
Nel mezzo, aleggia il silenzio della segreteria cittadina (e provinciale). Un silenzio che pesa perché lascia spazio alle interpretazioni e perché, in una fase di tensione, l’assenza di una voce unificante finisce per amplificare le divisioni anziché contenerle.














