Dopo giorni di polemiche e prese di posizione incrociate, è Luigi Galluppi a prendere formalmente la parola per ricostruire quanto accaduto durante il Consiglio comunale di Gallarate del 19 dicembre, teatro di uno scontro acceso con il consigliere dem Giovanni Pignataro. Una nota lunga e dettagliata, arrivata nelle ultime ore, nella quale Galluppi respinge le accuse e ribalta la narrazione diffusa nei giorni successivi alla seduta, rivendicando il proprio ruolo di consigliere interrotto e, a suo dire, aggredito verbalmente mentre stava esercitando legittimamente il diritto di parola.
Galluppi parte dai fatti, collocando l’episodio nel momento preciso dell’aula: l’intervento sul punto numero sei all’ordine del giorno, quello relativo all’approvazione del Documento unico di programmazione e del bilancio di previsione 2026-2028. È in quel contesto che, secondo la sua ricostruzione, Pignataro avrebbe iniziato a urlare nei suoi confronti, agitandosi in modo evidente con l’obiettivo di impedirgli di proseguire l’intervento. Un comportamento che Galluppi definisce reiterato e manifestamente esagerato, tanto da costringerlo a richiamare più volte il collega affinché smettesse di interromperlo.
Nella nota viene sottolineato come la situazione fosse ulteriormente aggravata dal fatto che Galluppi stesse parlando con il microfono, avendo ricevuto regolarmente la parola dal presidente del Consiglio, mentre Pignataro, in quel momento privo di diritto di intervento, urlava senza microfono. Un dettaglio che, nella lettura di Galluppi, rende l’episodio non solo scorretto sul piano personale, ma anche istituzionalmente grave, perché lesivo delle regole che disciplinano il funzionamento del Consiglio comunale e del rispetto dovuto all’assemblea nel suo complesso.
Il consigliere respinge anche l’idea che il contenuto del suo intervento potesse in qualche modo giustificare una reazione simile. «Né si può pensare – scrive – che quanto stavo leggendo potesse anche lontanamente offrire il minimo spunto per una reazione del genere», ribadendo come l’atteggiamento del collega abbia violato ogni regola di comportamento e abbia rappresentato un’offesa non solo nei suoi confronti, ma verso l’intero Consiglio comunale.
Galluppi ammette però un passaggio critico della propria reazione. Invece di chiedere un intervento più deciso del presidente a tutela del suo diritto di parola, riconosce di essere caduto «nella trappola della provocazione», alzando a sua volta la voce. Un errore che afferma di aver successivamente riconosciuto, tanto da chiedere scusa al Consiglio. Ma precisa anche il senso di quella reazione, definendola una critica rivolta al comportamento del collega e non un’offesa personale. Una stigmatizzazione, seppur «eclatante», di quello che definisce un atteggiamento antidemocratico.
Il passaggio più duro della nota arriva nel finale, dove Galluppi rifiuta nettamente quella che considera una ricostruzione capovolta dei fatti. L’episodio, scrive, lo ha visto vittima di un’aggressione verbale fuori luogo, alla quale può aver reagito in modo sbagliato nel tentativo di difendere il proprio diritto di parola. Ma ciò che non accetta è il tentativo di trasformarlo da vittima a colpevole. Un ribaltamento che definisce «palesemente menzognero» e quindi inaccettabile, non solo sul piano politico ma anche su quello istituzionale.
La presa di posizione di Galluppi riapre così il caso dello scontro in aula, spostando l’attenzione dal merito del bilancio al clima e al rispetto delle regole all’interno del Consiglio comunale. Un episodio che continua a lasciare strascichi politici e che contribuisce a delineare un quadro di forte tensione tra maggioranza e opposizione, in un’aula sempre più spesso teatro di confronti che travalicano il piano amministrativo per diventare scontri sul metodo, sul linguaggio e sul rispetto delle istituzioni.














