È passato un anno da quando il boschetto di via Curtatone venne abbattuto per lasciare spazio alla futura scuola unica per i quartieri di Cajello e Cascinetta. Ma le ferite di quella stagione di proteste non si sono ancora rimarginate, né per la città né per la politica. Oggi la Procura di Busto Arsizio ha chiesto il rinvio a giudizio per ventidue persone coinvolte nella mobilitazione, accusate a vario titolo di invasione di terreni, resistenza e lesioni.
L’occupazione, iniziata a inizio agosto 2024 e conclusa con lo sgombero del 3 ottobre, aveva attirato un fronte eterogeneo: dal Comitato “Salviamo gli Alberi di Gallarate” – in cui figurano anche volti noti della politica cittadina come l’ex assessora all’ecologia Cinzia Colombo – ai ventenni del collettivo “Tanuki”, già protagonisti di azioni analoghe a Busto Arsizio contro la cementificazione di aree verdi. A loro si aggiunsero militanti ambientalisti provenienti da altre città lombarde e perfino da Firenze e Bologna, segno di una protesta che aveva assunto una dimensione politica e simbolica più ampia.
Non mancarono momenti di tensione: tra il 30 e il 31 agosto vennero segnalati lanci di pietre e legni contro la polizia, con alcuni agenti rimasti feriti; in altre occasioni furono contestati oltraggi e resistenze, fino al caso di un attivista colpito da un “foglio di via” che tornò comunque a Gallarate. Nel complesso, i capi d’imputazione riflettono la varietà del movimento: dai giovani che vivevano per settimane tra capanne di legno costruite sugli alberi, fino al settantenne gallaratese che aveva preso parte simbolicamente alle prime fasi della protesta.
In questo scenario torna ora la voce del sindaco Andrea Cassani, che al Caffè Scorretto di lunedì 1 settembre ha ribadito la sua posizione. «Anche io sono stato in passato inviato a giudizio, quindi questo non significa che siano colpevoli di quello che sono accusati al momento – ha sottolineato –. Però è indubbio che alcuni episodi di cui si sono resi protagonisti hanno portato evidentemente il PM a procedere. Sarà poi il giudice, in un regolare processo, a sancire se queste persone sono o meno colpevoli».
Il primo cittadino punta però il dito soprattutto sull’origine “esterna” della mobilitazione: «Sono persone che non sono gallaratesi. Magari qualcuno dei comuni limitrofi sì, ma la maggior parte vengono da fuori: da Firenze, da Bologna, da Milano, da Brescia, dall’Alto Milanese. Queste erano proteste politicizzate, organizzate da qualcuno che evidentemente aveva interesse a far casino politico su Gallarate».
Sul tavolo c’è anche il tema dei danni economici: il Comune, parte offesa nel procedimento insieme all’impresa incaricata del taglio e a sette funzionari di polizia, non esclude di chiedere un risarcimento in sede civile. «Sapete tutti quanti dei ritardi nei lavori del Palazzetto, dei costi ulteriori – ha ricordato Cassani – e quindi sicuramente vi sarà una seconda parte rispetto al processo civile, nel caso in cui queste persone venissero condannate».
Il processo si aprirà il 22 gennaio 2026. Nel frattempo, gli ex occupanti hanno organizzato una cassa comune per le spese legali, battezzata “Rizoma”. Sullo sfondo, resta l’immagine di quel bosco nato negli anni Settanta come barriera verde tra le case popolari e l’autostrada, e poi sacrificato per dare spazio a una nuova scuola. Per alcuni, un passo necessario verso la modernizzazione della città. Per altri, il simbolo di un’occasione persa.