Tre murales, un solo messaggio: «Gallarate antifascista». Comparsi tra mercoledì e giovedì su tre scuole superiori cittadine, rappresentano il segnale più recente di un movimento che non accenna a spegnersi. Le scritte, tutte realizzate di notte con tratti e colori simili, sono apparse al Gadda Rosselli, all’Is Ponti e ai liceo scientifico Leonardo Da Vinci, accompagnate da frasi evocative e slogan di denuncia: «Il potere uccide, la libertà canta», «No al Ddl Sicurezza». Non una firma, ma un chiaro intento: rilanciare un’identità democratica e antifascista proprio laddove si formano le coscienze.
E immediata è arrivata la reazione del primo cittadino Andrea Cassani, che ha minimizzato l’episodio parlando apertamente di vandalismo: «Qualche teppistello questa notte ha imbrattato i muri di tre scuole per dirci che Gallarate è antifascista e che il Ddl Sicurezza è fascismo», ha scritto Cassani in un post social. «La nuova frontiera degli anarco-comunisti è definire tutto ciò che non gli piace come "fascismo", pensando di godere di tutele costituzionali…».
Un commento che ha inasprito ulteriormente il clima. Perché le voci critiche verso l’iniziativa promossa in città non si sono placate: anzi, crescono e si diversificano, anche in vista del prossimo referendum costituzionale, che riporterà al centro la discussione sull’identità democratica del Paese. Lo dimostra la presa di posizione trasversale del Consiglio provinciale di Varese, che ha approvato un documento di condanna verso l’evento, sottoscritto anche da esponenti del centrodestra come Forza Italia.
È il secondo atto simbolico in pochi giorni, dopo il corteo del 17 maggio, ma non sarà l’ultimo. E soprattutto, pone interrogativi più profondi sul rapporto tra giovani e politica, tra scuola e società.
In un’epoca segnata da migrazioni, conflitti e polarizzazioni, gli studenti sembrano muoversi tra due poli: da un lato la ribellione spontanea, che si esprime con gesti forti, come murales e slogan, dall’altro la richiesta di ascolto, di un dialogo reale con le istituzioni e con gli adulti, per non sentirsi esclusi da un mondo che cambia troppo in fretta. Il rischio – per la politica e per la scuola – è di ridurre questi segnali a semplici atti di vandalismo o a goliardate ideologiche.
Ma quello che si legge nei muri gallaratesi, nei cortei e nei microfoni passati ai ragazzi, è qualcosa di più: è una domanda urgente di senso e di giustizia, che riguarda tutti. Sta alle comunità educanti – scuola, famiglie, istituzioni – saper leggere questa inquietudine come parte di un percorso formativo che passa anche attraverso la scuola e l’arte in ogni sua espressione ma senza diventare una minaccia. I giovani non chiedono solo di essere istruiti: chiedono di essere coinvolti, responsabilizzati, rispettati imparando però a far sentire la loro voce ma senza ricorrere alla violenza o contrapponendosi alle forze dell’ordine che hanno il compito di garantire la sicurezza di ogni cittadino.
In questo contesto, ogni gesto conta. Ogni parola, ogni slogan, ogni silenzio. Gallarate, oggi, è uno specchio del Paese: divisa, ferita, ma ancora capace di far discutere. E forse, di scegliere da che parte stare.