«La mafia uccide ma il silenzio pure». Lo hanno scritto su uno striscione gli studenti dell’Ipc Verri che questa mattina, nella Giornata della legalità, hanno sfilato in corteo per le vie di Busto fino alla Procura. E qui non sono rimasti in silenzio, ma hanno letto i nomi dei magistrati vittime dei poteri criminali incisi nel monumento in largo Giardino, per poi recitare dei monologhi con cui hanno dato voce a Peppino Impastato, Emanuela Loi, Rosario Livatino, don Pino Puglisi, a loro volta uccisi dalle mafie.
Quindi hanno ascoltato il messaggio dei giudici e di chi quotidianamente si impegna per la legalità all’interno dell’aula magna del tribunale dedicata a Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Quest’ultimo venne ammazzato esattamente trentatré anni fa insieme alla moglie Francesca Morvillo e a tre agenti della scorta. Proprio oggi, nella data della strage di Capaci si celebra la Giornata della legalità e si commemorano le vittime di tutte le mafie.
L’iniziativa odierna, dal titolo “Passo dopo passo verso la legalità. La forza della memoria”, è stata organizzata dall’Ipc Veri in collaborazione con la Procura della Repubblica, il Tribunale, l’Associazione nazionale magistrati, l’Associazione nazionale bersaglieri e la fanteria dei bersaglieri “Nino Tramonti - Mario Crosta”.
E la dirigente scolastica Maria Cristina Cesarano, orgogliosa ed emozionata, ha annunciato: «Porterò i miei studenti a Palermo».
Il corteo
«La verità è più forte del silenzio». «Non ho paura delle parole dei violenti ma del silenzio degli onesti». Sono i messaggi che gli studenti delle classi quinte hanno portato in corteo fino al tribunale. Con loro il sindaco Emanuele Antonelli, il vicesindaco Luca Folegani, l’assessore Chiara Colombo, la presidente del Consiglio comunale Laura Rogora, i consiglieri Francesco Attolini, Francesca Gallazzi, Paolo Geminiani, Orazio Tallarida e Francesco Carbone, responsabile provinciale di dipartimento di Fratelli d’Italia.
Alla commemorazione in largo Giardino, con cerimonia dell’alzabandiera, deposizione di una corona e messaggi dei ragazzi, oltre ai magistrati hanno partecipato anche il prefetto Salvatore Pasquariello, il vicepresidente della Provincia Giacomo Iametti, i rappresentanti delle forze dell’ordine e delle associazioni combattentistiche e d’arma.
La cerimonia è proseguita nell’aula del tribunale intitolata a Falcone e Borsellino, dove si è tenuto un dibattito privo di retorica e carico, piuttosto, di passione per la legalità e gratitudine verso l’impegno di chi è caduto per perseguirla. Un impegno che deve proseguire nelle gesta quotidiane di ogni cittadino.
In collegamento gli studenti del liceo “Pietro Ruggeri” di Marsala (Trapani), del liceo “Filippo Silvestri” di Portici (Napoli) e dell’Isis “Guido Tassinari” di Pozzuoli (Napoli).
«Quelle morti non siano vane»
«Oltre a ricordare magistrati, imprenditori sacerdoti, cittadini uccisi dalla mafia, dobbiamo sentire la responsabilità di far sì che quelle morti non siano state vane – ha detto ai giovani il presidente del Tribunale di Busto Miro Santangelo –. Una responsabilità che si concretizza nell’onestà, nel rispetto degli altri, nel rispetto della legge e prima ancora dei principi etici che la nostra società si è data. In questo modo vivete e trasmettete quel sogno che tante persone uccise dalla mafia non sono riuscite a realizzare. Il tentativo di arginare il fenomeno mafioso non può essere delegato solo a magistratura e forze di polizia».
Santangelo ha ricordato con commozione Rocco Chinnici, incontrato insieme ad altri giovani colleghi: «In poche ore ci trasmise passione, impegno civile, desiderio di migliorare le condizioni di vita della collettività. Quando abbiamo saputo dell’omicidio, se ci avessero chiesto se saremmo andati a Palermo a combattere la mafia, noi avremmo detto di sì. Questo è il senso dell’eredità che hanno lasciato tanti magistrati».
Magistrati che il procuratore della Repubblica Carlo Nocerino non vuole definire eroi: «Sono persone che fin dal primo giorno hanno rispettato la deontologia professionale e dimostrato onestà intellettuale prima ancora che capacità professionale. Si sono immolati non da eroi, ma da persone perbene».
E, ha fatto notare il vicepresidente nazionale dell’Associazione bersaglieri Antonio Pennino, molto delle vittime erano ancora ragazzi, poco più grandi degli studenti presenti nell’aula del tribunale.
Il sindaco Antonelli ha ricordato lo sconforto dopo l’uccisione di Falcone e Borsellino: «Ho pensato “è finita”, ma mi sono risollevato quando, al funerale, le persone si sono fatte sentire. Ci sono voluti anni, ma ci sono stati molti arresti e per fortuna le stragi sono finite». E ai ragazzi ha raccomandato: «Non bisogna morire o essere eroi, ma fare quello che serve per vivere e lavorare nella legalità, avendo a cuore le persone a noi vicine».
La dirigente dell’Ipc Maria Cristina Cesarano era a Palermo quando i due giudici vennero uccisi: «Ero docente e ho visto i volti dei ragazzi. Da allora non ho mai smesso di promuovere la cultura della legalità e la lotta alla sopraffazione. Oggi sono orgogliosa dei miei studenti».
Il giorno della strage di Capaci, invece, il giudice Rossella Ferrazzi era a Roma: «Ricordo quel silenzio assordante per le strade che mi ha portato ancora di più a entrare in magistratura. Ieri in quest’aula si è celebrato un processo per estorsione e usura con l’aggravante mafiosa. Le mafie sono cambiate ma sono realtà di oggi. Si infiltrano nella società civile, nella politica. La libertà è una conquista di tutti i giorni da parte di tutti voi. Non dobbiamo essere eroi, ma rispettosi della Costituzione e delle regole. Il male peggiore nella nostra società è l’indifferenza».