«La medicina sportiva è molto ampia come campi d’azione», così inizia a spiegare il dottor Massimo Besnati dell’Istituto Clinico San Carlo. Dividendo poi questa branchia in due raggi d’azione principali: «Di campo e di certificazione».
Ma quali sono le differenze? «La medicina di campo è il medico che presta assistenza agli atleti, tutela la salute degli sportivi e soprattutto previene eventuali incidenti da sovraccarico da patologie. Il medico di campo è quello che va in panchina nel calcio, sull’ammiraglia nel ciclismo, a bordo ring nel pugilato».
Il medico dello sport, spiega il dottore Besnati, «deve attenersi a una serie di protocolli, esami dettati dalla legge 91, dalla 376, dalle norme nazionali e delle federazioni internazionali per quello che riguarda ogni singola federazione».
La parte che soddisfa di più professionalmente secondo lui è «la prima, il medico è quello che tutela la salute, che lo cura se ha la bronchitina, che si assicura costantemente della salute degli atleti, imposta le diete, dà consigli sulle terapie per reintegrare da sforzi eccessivi. Deve essere anche psicologo, perché bisogna capire le dinamiche del gruppo. Un medico dello sport è un amico dell’atleta, con il massaggiatore che è l’altra figura più importante».
La seconda parte (di certificazione), che è quella che viene fatta al San Carlo, si occupa dell’idoneità agonistica e non.
Quella non agonistica spazia «dalla signora anziana che va in palestra per fare la chinesiologia fino al bambino di 8 anni che fa la scuola calcio». Il dottore ha anche spiegato che esami fa svolgere: «Un elettrocardiogramma a riposo, un’accurata visita clinica e un’accurata anamnesi».
Per ottenere un certificato per sportivo-agonista vanno aggiunti anche altri esami: «Un elettrocardiogramma post-sforzo, che prevede la discesa e la salita da uno sgabello in base all’altezza dell’atleta per 3 minuti, si fa una spirometria che è la valutazione della capacità funzionale polmonare, si fanno gli esami delle urine, della vista monoculare e sul daltonismo».
Per i professionisti, gli esami sono ancora più approfonditi: variano in base alle federazioni. Ad esempio «il pugilato richiede l’elettroencefalogramma e la visita neurologica, il ciclismo richiede degli esami del sangue ogni sei mesi».
Ma la soddisfazione non è solo “sul campo”: «Anche qui c’è, io ho fatto i primi anni a fare certificazioni, poi ho fatto quarant’anni come medico di campo e lì mi sono realizzato. Adesso non ho più voglia di girare il mondo e qui abbiamo trovato persone che avevano dei problemi quasi sempre di tipo cardiologico ma che non sapevano di avere».
Motivo per chi il dottore pensa che «la medicina dello sport è diventata preventiva, una volta c’era la medicina scolastica, adesso sono rimaste questa e quella del lavoro che fanno controlli su persone sane e ci si deve assicurare che siano realmente sane, quindi molto spesso è capitato di trovare delle anomalie elettrocardiografiche per cui sono stati richiesti altri esami». Ma per fortuna: «Gli esami suppletivi hanno quasi sempre dato esito negativo».
Però non sempre accade e quando si trovano altre anomalie, «si è consigliato o di non fare l’agonismo o addirittura di smettere e di mettersi in terapia farmacologica».
«Questa è una grande soddisfazione perché senza questo intervento la fine che avrebbe fatto l’atleta non sarebbe stata delle migliori», ha concluso il dottore.
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