Da bambino gli piacevano le barche e l’agricoltura lo attirava per il contesto familiare. Ma c’era già anche un’idea che si faceva avanti: «Che bello essere prete».
Don Marco Zambon sabato 10 giugno sarà ordinato sacerdote e l’11 celebrerà la prima messa alle 10.30 nella sua Santa Croce: sì, qui è nato e cresciuto ma per un fatto improvviso che toccò la comunità – la morte di don Alfonso Milani - fu battezzato a Sant’Edoardo dall’allora parroco don Giovanni Mariano. Anni dopo, le due parrocchie si sarebbero riunite e avrebbero accompagnato insieme con affetto il venticinquenne. Ci sono diversi fili che si afferrano in questa storia e uno è questo: Marco fu battezzato il giorno del Corpus Domini e diventa prete proprio in quelle ore.
Incontriamo don Marco in un momento di fermento all’oratorio che accoglie le iscrizioni. Nella sala sopra ci immergiamo nel silenzio e torniamo indietro nel tempo. Alle figure che ne hanno accompagnato il cammino, ai sacerdoti ma anche al nonno che aiutava il fondatore della parrocchia di Sant’Edoardo, don Ambrogio Gianotti a portare il carbone ai poveri: lui, che ricco non era, ma c’è sempre qualcuno che ha più bisogno. E c’è un ragazzo che a diciannove anni è entrato in seminario. Dando forma a una decisione che già si era messa in cammino dentro di lui senza bagliori ma con una luce diffusa e costante.
La comunità di Sant’Edoardo e Santa Croce la sta seguendo e sostenendo intensamente: il pellegrinaggio al Sacro Monte, un esempio bellissimo. Come ha avvertito la sua vocazione?
In realtà, è avvenuto tutto un po’ misteriosamente. Non ho un’idea precisa del momento in cui sia nata questa inclinazione. Già da bambino c’era l’idea, ma mi piacevano anche le barche, mi sarebbe piaciuto fare il capitano o anche il capotreno. E il contadino, perché noi siamo vicini al Parco Alto Milanese e siamo sempre vissuti in campagna. Mio padre ha sempre fatto il venditore di macchine, però noi abbiamo galline e animali nel giardino, c'era insomma una passione agricola di papà. Facevo le capanne con mio fratello Michele e mi piaceva guardare trattori e mietitrebbie. Avevamo la figura bella di don Silvano come parroco a Santa Croce e questa cosa è rimasta sempre dentro. Facevo il chierichetto, la preghiera e le celebrazioni più vicino all’altare… sentivo che era il mio posto. E nell’adolescenza tutto ciò è maturato.
Lei ha già citato alcuni sacerdoti, quali altri l’hanno accompagnato lungo questa via?
I preti mi sono stati vicini, soprattutto don Emilio. Ha chiamato don Tommaso Castiglioni che seguiva percorsi vocazionali in seminario. Si andava ad ascoltare testimonianze, si stava fuori la notte, si prendeva più seriamente la vita cristiana. Era molto bello e questo mi ha sicuramente aiutato: ha custodito questa inclinazione che è cresciuta fino ad arrivare a essere una decisione. Viene un momento in cui sei messo alle strette dalla vita, devi decidere cosa fare. In questo, c’è stato l’accompagnamento di don Stefano, più mirato. Il fatto di avere la chiamata, la vocazione, non è scontato. Se in tutti questi anni questa intuizione è stata di sfondo, è arrivata fuori molto chiaramente negli ultimi anni delle superiori dove, a fronte di qualche difficoltà, domanda, dubbio, il Signore appariva ancora una volta come la figura su cui potevo basarmi. Sono pronto a seguirti, a donarmi per te. Perché ti ho trovato fino in fondo. Questo è stato il trampolino di lancio che mi ha fatto prendere la decisione vera e propria di entrare in seminario a diciannove anni, il 14 dicembre 2017.
La sua famiglia, se l’aspettava? Papà Giorgio, mamma Laura…
Una famiglia non se l’aspetta mai, anche per loro è una sfida. Sicuramente ai miei devo molto perché non mi hanno mai stoppato nella vita della parrocchia, dell’oratorio. Se devo dire un posto dove ho imparato a pregare, è in famiglia: erano presenti molto in oratorio e hanno indirizzato me e mio fratello a viverlo. La preoccupazione più grande dei genitori è di garantire certezze per i figli: la strada del matrimonio l’hanno già percorsa, la conoscono. Invece, quella del sacerdozio è inedita. D’altra parte si vogliono offrire garanzie ai figli, evitare fallimenti. Si tende a dire: prova tutto quello che puoi, poi potrai scegliere. Ma uno fa tutta la vita così e muore provandoci. Invece, uno trova un tesoro e investe tutto per quel tesoro lì, come dice il Vangelo.
Tornando indietro ai nonni?
Custodisco questo racconto. Mio padre dice che nonno Dionisio, morto a 50 anni, andava con don Ambrogio a portare carbone ai poveri la domenica pomeriggio, di inverno. Erano poveri anche loro, tuttavia il nonno e il parroco facevano questo gesto: fa vedere il desiderio di donarsi e mettersi il servizio. Io porto il secondo nome Dionisio… Poi la nonna Giuseppina, scomparsa nel 2012, ha sempre portato sul palmo della mano il fatto che il nipote potesse fare il prete… Anche i nonni materni erano molto cari e attenti a me e mio fratello: a loro modo, erano attaccati alla fede e al Signore. Sono stati sicuramente custodi e non inciampo.
Come una fiamma silenziosa… e una fiamma potente è il sostegno delle due parrocchie, scatenate anche con il coro, ogni particolare della sua prima celebrazione l’11. Come vive questa partecipazione?
Sono molto contento che questo momento non sia solo mio, ma di festa e bellezza per tutta la comunità. Mi ritengo figlio delle mie comunità. È un passo importante per la mia vita, ma non dimentico da dove vengo. Il fatto che le comunità siano in festa, dice la bellezza dell’appartenenza. E quindi è una cosa molto forte. L’11 giugno, con la prima messa, penso che sarà un momento che spalanca gli orizzonti per tutti.
Un’immagine bellissima al Sacro Monte il mese scorso: tre generazioni di sacerdoti delle due parrocchie con lei. Don Giorgio, poi don Antonio e infine don Gabriele che si avvicina ai suoi anni. Una benedizione rara di questi tempi. Da ciascuno ha preso qualcosa?
È molto bello ringraziare tutti. Io sono contento di aver condiviso il cammino e l’affetto. C’è un legame bello, forte, non formale. Don Giorgio ha vissuto il suo sessantesimo, io sono all’anno zero. Questi rapporti nutrono la vocazione di tutti. Siamo umani e abbiamo bisogno di volerci bene. Don Antonio – parroco di Sant’Edoardo, ndr – lo vedo come un padre e lo sento molto vicino come figura di parroco. Erano andati via don Emilio e don Stefano. È anche la prima volta che ha un seminarista che diventa prete: penso sia una grande emozione anche per lui.
Sulla pagina Facebook del seminario stanno uscendo i vostri profili. Monsignor Livetti, 92 anni tra poco, ha fatto dei commenti stupendi sotto alcuni di essi. Qual è il vostro rapporto?
Sono stato a trovarlo qualche settimana fa alla Provvidenza. Me lo ricordo che presenza forte era da prevosto a Busto Arsizio. In questi anni di seminario, teneva molto a sapere come stessi e a sapere di me in qualche modo. Dopo la seconda teologia e la vestizione, ero stato a trovarlo. Lui è molto accogliente, verrà anche lui alla prima messa.
Lei è molto legato anche a un’altra figura di sacerdote.
Devo molto a don Simone Vassalli, coadiutore di Biassono. Io ero stato tra i seminaristi che erano andati lì e sono rimasto l’estate. Un’amicizia rimasta nel tempo. L’anno scorso è morto improvvisamente: il 6 febbraio, nella notte, facendo l’adorazione eucaristica. Una notizia che ci scosse la domenica mattina. Quest’anno avrebbe festeggiato il decimo e io la tappa zero, avremmo festeggiato volentieri insieme. La sua morte, oltre ad averci rattristato, è stata un punto molto forte per la mia vocazione: ho capito quanto fosse vero che chi segue il Signore dona la vita e quando fosse generativo. Penso di non aver mai visto tanta gente al funerale, tanti ragazzi a pregare. Nonostante fossimo tristi, si respirava un’aria già di resurrezione. Che lui abbia donato la vita al Signore, è stata un’immagine potente. Per questo ho voluto come motto la sua frase: nessuno ha un amore più grande di questo, dare la sua vita per i propri amici. Sentiamo che accompagna tutti noi… E che il Signore si aspetta qualcosa da me, ovunque verrò destinato. L’ho visto chiaro questi anni: ovunque andassi, mi sono sentito accompagnato dalla Provvidenza. Un po’ di fatica devo metterla io, ma ho capito che era il mio posto, davvero.
Domenica 11 ore 10.30 messa in Santa Croce, anche per Sant'Edoardo
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LA PRESENTAZIONE DI DON MARCO SULLA PAGINA DEL SEMINARIO ARCIVESCOVILE
DON MARCO ZAMBON
Ciao! Sono don Marco, ho 25 anni e provengo da Busto Arsizio. Prima di entrare in seminario ho frequentato il liceo Classico a Busto, facevo l’educatore in oratorio e dopo la maturità, nel lontano settembre 2017, decisi di iniziare questo nuovo cammino. Devo moltissimo alle mie comunità di Santa Croce e Sant’Edoardo, dove sono cresciuto, che mi hanno sempre accompagnato sostenendomi e facendomi sentire a casa. È proprio qui che è nato il mio desiderio di seguire il Signore Gesù per tutta la vita. I miei fantastici don, le suore, la mia numerosa famiglia e i miei amici sono state figure molto importanti per il cammino, mi hanno educato nel tempo, soprattutto con piccoli gesti, a riconoscere la presenza di Cristo nella vita normale, di tutti i giorni, e questo mi ha insegnato a riconoscerlo sempre più come una presenza amata e desiderata. Li ho sempre ritenuti un dono grande del Signore, perché non lo ritengo assolutamente scontato averli avuti come presenza bella per la mia vita. Seguire il Signore e farlo con la famiglia, che è la Chiesa, è assolutamente bello!
«E quando il fiato si farà corto, guarda il crocifisso e sentiti domandare: “Vuoi qualcosa di meno?” e rispondi sempre: “Nulla meno di Te Signore!”».