Martedì il Brasile e il mondo daranno l'addio a Pelé. Nello stadio del Santos che ne frattempo ha comunicato una decisione: non ritirerà la maglia con il numero 10 per onorare la memoria del calciatore, tre volte campione del mondo. Una scelta per cui si è citata proprio la volontà di O Rei, espressa in un'intervista quattro anni fa.
Anche questo è un piccolo, significativo tassello nella storia di un uomo, prima che immenso calciatore. Consapevole della propria grandezza, ma al contempo con una sua umanità che mancherà, simbolo di un Calcio mai lontano. Lo testimoniano anche i tanti ricordi dei tifosi bustocchi in questi giorni: oggi uomini e donne, allora ragazzini - come ha ricordato Adriano Mancini, LEGGI QUI - incontrarono Pelé grazie a Peppino Mancini che lo portò allo stadio Speroni, quasi 50 anni fa. Giornali e tv ne cantavano le imprese: un mito così poteva sembrare irraggiungibile. Lo fu in effetti per alcuni, ma solo perché lo stadio scoppiava di gente.
C'è chi come Mauro Morelli riuscì comunque a farsi largo: «Avevo 11 anni, mi sono intrufolato nel campo... Gli diedi anche la mano». Lo storico tifoso tigrotto Giannino Gallazzi riuscì a sua volta a far prendere per mano al campione la figlia Roberta. E poi tutti coloro che poterono vivere quelle emozioni, accanto a Mancini. Come Giorgio Clerici, sempre tifoso della Pro: «Ricordo benissimo l'incontro grazie al mio primo datore di lavoro Peppino Mancini... grande persona». Anche il sindaco Emanuele Antonelli ha scritto su Facebook di rammentare quel momento.
Il campione che veniva dal Brasile, il mito che sorrideva e si fermava con i bambini e non solo. Un calcio che non aveva patinati profili social e per quanto mitico, non prendeva mai le distanze dalla sua gente e dai suoi sogni.