Novantaquattro anni che scivolano via come fossero trenta. È questo il primo pensiero che attraversa la sala del "Dinner The Mode" di Legnano quando Carlo Moretti prende la parola. L’architetto — classe 1931, voce sicura, sguardo limpido e tagliente — conquista il pubblico del Rotary Club Busto-Gallarate-Legnano-Ticino e del Rotary Club Parchi Alto Milanese non con la nostalgia del passato, ma con la forza incrollabile delle idee nuove. “Dall’ineluttabile all’architettura”, il titolo dell’incontro, diventa subito una promessa mantenuta.
Il Rotary e il valore del fare
Prima che Moretti inizi il suo viaggio tra visioni urbane e geometrie essenziali, il presidente Carlo Casavecchia porta alla platea un pezzo di orgoglio collettivo: il club ha appena ricevuto tre riconoscimenti a Lecco per il sostegno a diverse associazioni e ha ottenuto il 90% del finanziamento destinato alla palestra per ragazzi autistici della Fondazione Bellora a Gallarate. La solidarietà, insomma, non è solo un principio ma una pratica quotidiana.
Progetti che scorrono e una lezione che resta
Sul grande schermo scorrono decenni di architettura: Villa Clerici a Legnano del 1965, la scuola elementare di Gallarate del 1966, residenze degli anni Settanta, la scuola materna di Cassano Magnago del 1975, fino ai progetti urbani più arditi come la proposta per una nuova City di Milano. Ogni immagine è un tassello della stessa ossessione costruttiva: ricercare l’essenza e rifiutare il superfluo.
“L’architettura non è al passo con la storia”
Quando Moretti prende fiato per il primo grande affondo, la sala si ferma. Il suo chiodo fisso è semplice e radicale: l’architettura contemporanea non ha saputo seguire il ritmo della storia e della crescita del pianeta. Otto miliardi di persone che aspirano a una casa, mentre boschi, campagne e città si confondono in un’immagine “sgangherata”. I vecchi parametri — sostiene — non reggono più. Serve una nuova visione, più intelligente e più semplice. La semplicità, dice citando Nietzsche, è un ritorno all’essenza.
Cilindri e parallelepipedi: l’alfabeto della città futura
Moretti parla di forme primarie come fossero vecchi amici. Il cilindro, quando diventa abitabile, raggiunge una perfezione geometrica. Il parallelepipedo, nella sua forma più potente — il container — diventa l’unità minima di un’abitazione. Scorrono immagini di città convesse che richiamano le antiche planimetrie romane. Una modernità che non rinnega il passato, ma lo utilizza come trampolino.
Costruire sopra le stazioni
La domanda che brucia è: dove costruire? Moretti ha una risposta netta: non più su aree libere né su quelle dismesse. Il futuro è sopra le stazioni ferroviarie, nelle zone già urbanizzate e già servite. Immagina una Milano in cui si scende di casa direttamente su un nodo di mobilità, una città dove l’automobile diventa superflua. La stazione Centrale come piattaforma per colonne e torri, collegate tanto al centro storico quanto alla periferia. Un disegno verticale, razionale, sostenibile.
Torri ovunque: un cambio di paradigma
Le torri, per Moretti, non sono simboli di potere ma strumenti di progetto. Una passerella sopra la stazione Garibaldi, torri cilindriche in piazzale Cadorna, una riconfigurazione dell’ippodromo — ormai inglobato nella città — da spostare fuori porta per lasciare spazio a un nuovo skyline abitabile. Non è un sogno isolato: propone soluzioni analoghe per Busto Arsizio, per la stazione di Laveno affacciata sul Lago Maggiore.
Territorio, costi e il nodo della sostenibilità
Moretti parla anche di numeri: 360 chilometri di strade solo a Busto Arsizio, costi di manutenzione dei lampioni più alti di quelli di New York, una pressione costante su servizi e attrezzature. Tutto questo, dice, può essere eliminato con un ripensamento radicale: città che crescono in altezza sopra le infrastrutture esistenti. Le aree ferroviarie appartengono allo Stato, quindi a tutti noi. Il pendolarismo automobilistico svanirebbe, così come la dipendenza dai finanziamenti pubblici.
Dal possibile al necessario
La lezione di Carlo Moretti non è un esercizio di stile. È la dimostrazione che anche ciò che sembra ineluttabile — la crescita disordinata, il consumo di suolo, la complessità delle città — può essere ripensato. Serve coraggio. Serve immaginazione. Ma soprattutto serve qualcuno che, a 94 anni, sappia ancora disegnare il futuro con la nitidezza di chi non ha mai smesso di crederci.














