Una serata esplosiva, una corrente continua di battute, botta e risposta, improvvisazioni. Ma soprattutto una rivelazione: dietro la comicità di Leonardo Manera e Stefano Chiodaroli c’è un mondo silenzioso, fatto di pennelli, tele, notti intere trascorse a cercare un gesto, un’ombra, un’idea. Lo Spazio Arte Carlo Farioli di Busto Arsizio - che fino al 23 novembre ospita in via Silvio Pellico la mostra Le battaglie d’Occidente di Chiodaroli (leggi qui) - li accoglie e li mette a nudo, mostrando ciò che non appare sul palco: il loro talento pittorico, inatteso e sorprendente. In sala anche l’assessore al Bilancio Alessandro Albani, amico di Chiodaroli con cui ha realizzato diverse iniziative, spettatore divertito e partecipe.
Il peso della libertà creativa
L’attacco è deciso: dopo una serie di gag sulle malattie, Chiodaroli provoca Manera chiedendogli perché abbia buttato via tante opere. Manera sorride e risponde senza filtri: «Dipingere mi dava uno spazio espressivo totale. Dipingevo tutta la notte. Ma ero critico, severo, fin troppo. Così molte opere finivano eliminate».
Nell’arte, per lui, non esiste realtà: esiste solo la possibilità di rappresentare se stessi. In questo si ritrova anche nelle opere di Chiodaroli: «Le sue lance definiscono lo spazio, raccontano il pittore».
Il richiamo della battaglia
Chiodaroli torna indietro nel tempo: «Ho iniziato da bambino, dipingevo soldatini e battaglie. Poi il cabaret, i compromessi, i personaggi inventati. Ma la pittura mi dava più libertà».
Ha distrutto i lavori dell’adolescenza, ma nel 2016 ricomincia e non si ferma più: battaglie, sempre battaglie. Si innamora della battaglia di Pavia dopo aver visto gli arazzi e trova in Van Gogh la chiave della sua poetica: non dipingere la realtà, ma ciò che attraversa la mente.
«Il concetto di forza della battaglia mi diverte e mi esalta. Nei miei quadri c’è sempre qualcuno che mi assomiglia. “Il soldato stanco” è un monito a ciò che sono stato».
La soddisfazione di ciò che resta
Manera guarda alla pittura come a un gesto che rimane: «La soddisfazione è creare qualcosa di tangibile».
Chiodaroli annuisce: «Lo stesso verso che esprimiamo sul palco lo esprimiamo quando dipingiamo o scriviamo: cambia il materiale, ma non il suono».
Il collezionista inatteso
Poi è Chiodaroli a provocare: perché Manera è un collezionista?
Il racconto parte dal 2009, da uno spettacolo in Friuli e da una televendita di quadri. Un colpo di fulmine. «Ho iniziato a seguirle tutte, poi le fiere, poi a comprare». È ormai un collezionista appassionato del Novecento.
Ripercorre movimenti, pittori, storie. Racconta Mimmo Rotella, affezione profonda: la distruzione dell’arte europea per crearne una nuova.
Confessa il legame con L’Urlo di Munch: il secolo nuovo che arriva, l’indifferenza dietro, l’umanità che non vede la catastrofe imminente.
E sogna un giorno di acquistare un Burri, perché la tele strappata e ricucita racconta il passaggio dalla rappresentazione alla presentazione dell’oggetto.
Si infervora quando parla delle opere d’arte danneggiate durante le manifestazioni: «Non serve. Crea rancore, non partecipazione. L’arte è sempre la rappresentazione storica del proprio tempo. L’arte è sempre contemporanea».
La mostra e il dono
La cornice della serata è la mostra di Stefano Chiodaroli Le battaglie d’Occidente, inaugurata l’11 ottobre e visitabile fino al 23 novembre allo Spazio Farioli. Un viaggio visivo dentro il suo immaginario guerriero, teso e poetico.
Poi, un gesto simbolico: Chiodaroli dona ad Albani una stella con il proprio volto, opera ricevuta a sua volta da un artista in occasione di una serata condivisa. Un passaggio di mano che diventa passaggio di storie.
Quando l’arte cambia voce
Il comico sale sul palco e fa ridere. Il pittore si siede davanti alla tela e fa silenzio. Ma dentro è lo stesso verso, dicono.
E questa serata allo Spazio Farioli lo dimostra: l’arte non ha un solo linguaggio, ma mille forme. E alcune, le più sorprendenti, nascono proprio da chi pensiamo di conoscere già.















