La prima volta che varcai i cancelli dello stadio di San Siro era la domenica del 13 febbraio 1966; si giocava Inter-Roma. Avevo dodici anni. E quella partita era il regalo di compleanno. Il tempo era freddo e piovoso, di quello che ti penetra nelle ossa, ma non mi accorsi di nulla. Troppa erano l'euforia, l'ansia, la voglia, la passione di andare a San Siro, uno stadio che avevo visto solo in foto sui giornali o in tivù quando la Rai trametteva la domenica sera alle sette il tempo di una partita e diverse volte le immagini arrivavano da Milano.
L'eccitazione era rivolta alla partita della Grande Inter, che quell'anno vinse la prima stella, unita alla strana curiosità di vedere com'era lo stadio all'esterno. Mai una fotografia o un frammento televisivo. Avevo chiesto informazioni e mi era stato detto che per entrare vi erano delle rampe. Mai avrei immaginato che fossero così avvolgenti, protettive. Erano lì quasi a custodire quel tempio laico. Quando pulii il vetro del finestrino appannato della macchina, con il parcheggio a ridosso dello stadio, rimasi estasiato. La meraviglia fu indescrivibile. Mentre mi avvicinavo all'ingresso anziché guardare dove mettevo i piedi per evitare le pozzanghere i miei occhi guardavano in alto attratti dalla maestosità di San Siro. Un' emozione che non si è mai ingiallita nel corso degli anni. Sono innumerevoli le volte che sono stato a San Siro eppure quelle rampe mi hanno sempre detto qualcosa.
Ne imboccai una con il cuore che pompava a mille e, quando, da una imboccatura vidi il campo, urlai, “é verde”, tra l'ilarità di chi mi stava vicino. E certo che il terreno di gioco doveva essere verde, ma abituato a vederlo grigio alla televisione in bianco e nero, mi lasciai andare ad un'espressione che divenne una presa in giro da chi mi aveva accompagnato allo stadio. A dirla tutta erano dei padrini che mi avevano presentato al tempio laico e col tempo mi convinsi che quella pioggia ci voleva. Per un battesimo ci vuole sempre l'acqua.
E la meraviglia la provai due anni fa, quando ammirai San Siro dal prato. Avevo sempre desiderato vederlo, ma che dico, gustarlo dal terreno di gioco. È un'esperienza che mi è rimasta dentro. Appena salito i gradini dopo aver attraversato il tunnel che percorrono i giocatori prima di entrare in campo, la prima cosa che feci guardai al settore del secondo anello dove ci andai la prima volta. Era trascorso qualche decennio, ma San Siro, pensai, non ti fa mai invecchiare.
Lo vogliono abbattere per costruire un nuovo stadio lì accanto. I tempi moderni lo reclamano, così come le regole calcistiche europee ed anche quelle economiche in ossequio alla sostenibilità. Lo sponsor darà il nome allo stadio in omaggio ai danè che chiameranno Arena. Una bruttura. L'arena è un luogo di duelli, di sangue, di lotta, di crudeltà che porta la mente agli antichi romani. Il pallone è gioia, condivisione, poesia e non ha nulla a spartire con chi vede nell'altro il nemico, ma solo un avversario.
Vedremo quello che succederà nella prossime settimane e nei prossimi mesi. Di sicuro se ci sarà l'occasione per andare a Milano a vedere una partita dirò sempre che “vado a San Siro” ed anche se la ragione mi condurrà nel nuovo stadio, il cuore andrà sempre a quelle rampe dalle quali si vede il colore verde del campo di gioco.