/ Ieri... oggi, è già domani

Ieri... oggi, è già domani | 20 giugno 2025, 06:00

“Sera su 'n oegiu” - “Chiudi un occhio”

L'espressione dialettale scritta nel titolo significa semplicemente "chiudi un occhio". Facile dirlo, la lingua bustocca, madre del nostro dialetto "ruspante", da strada, racchiude molti stati d'animo in merito...

“Sera su 'n oegiu” - “Chiudi un occhio”

L'espressione dialettale scritta nel titolo "sera su 'n oegiu" significa semplicemente "chiudi un occhio". Facile dirlo (Giusepèn fa fibrillare i suoi baffetti furbi e sorride appena, ammiccando) - la Lingua Bustocca, madre del nostro Dialetto "ruspante", da strada, racchiude molti stati d'animo in merito al "chiudi un occhio" - lo si faceva quando da ragazzi ci prendevano col "dito nella marmellata" che ovviamente bisogna prendere come un'allusione e non come realtà - significava essere "colti in fallo", magari disubbidendo a ciò che i genitori ci raccomandavano di fare.

La "marachella" era in agguato e non è che la mamma (principalmente) teneva la contabilità sui "fuori programma" o sulle azioni cretine che si svolgevano coi giochi, coi compiti, coi... doveri!. Allora mentre mamma e babbo, confabulavano tra loro, spesso sentivo papà a dire a mamma "sera su 'n oegiu" (chiudi un occhio), detto come "d'accordo, ha sbagliato" ma "l'è non 'n mateozzu da picò sempar" (non è un materasso da battere in continuazione). Il fatto era proprio per la vivacità che mi accompagnava e ogni "tre per due" ne combinavo una. E dovevo pure subire le conseguenze. Ginocchia e gomiti "sbucciati" quasi sempre, "na sgrabeloa" (graffio) ogni tanto e qualche livido sparso qua e là, che destava perplessità, ma non si sapeva da dov'era sbucato.

"Sera su 'n oegiu" era tipico per le manchevolezze. Mamma a sera "faceva l'inventario" col babbo … l'accaduto d'un pomeriggio di giochi, di folli corse nel prato, di pallone giocato sino all'imbrunire e... "e, i compiti? candu te i fè?" (i compiti, quando li svolgi?) e papà a sedermi accanto, ad assecondare le mie trovate, spesso scritte in Dialetto. E lui a dire "sa l'à oei cusè?" rivolto alla maestra che pretendeva un lessico italiano forbito che allora (per me) era immaginario.

Poi, nel compito, ero quasi abbonato al sei: molti miei compagni mi additavano, quasi fossi un somaro, per via dei loro sette... otto… perfetto che col mio umilissimo sei facevano invidia. A onor del vero, non provavo invidia (già allora - sic) per questo italiano che io imparavo dai loro compiti (anche quelli corretti dalla maestra), ma anche in seconda, poi in terza, perfino in quarta Elementare, c'era una differenza fra il mio Parlare Bustocco e il loro Parlare Bustese.

In quinta Elementare, però, il "mio italiano" subiva le correzioni dei compagni. In un tema, ricordo che ho scritto "ul paesàn l'à tia su a ramundua e l'à butàa dentar'a mota dul rudu" - la maestra mi ha chiesto spiegazioni. Aveva già scritto sei, (forse predestinato) in calce al tema, ma non era convinta di avere compreso ciò che io avevo scritto. Allora, ho cominciato la spiegazione: "ul paesàn" era il contadino (ed io mi riferivo a mio padre) - "l'à tia su a ramundua" vuol dire, "ha raccolto ogni rifiuto" - e "l'à butàa dentar" (l'ha gettata) "a mota dul rudu" (la pila del letame) - più chiaro di così come posso scrivere?.Incazzata (perdonatemi, ma è per dire com'era mia madre), quando ha sentito una donna - mamma di un mio compagno "si vede che è ripetente" - un piffero (ha detto mamma - ho usato un eufemismo, per dire, grande e grosso, com'ero NON era un ripetente.

E la stupefacente signorina Maria Pia Vandoni, da Bellinzago (Novara) ad annuire che "ci vuole tempo prima che potessi allinearmi cogli altri compagni", testimonianza la mia giusta presenza agli studi. Mi faceva compagnia, nell'istruzione, metà della classe; i cosiddetti "fioeu dàa poa genti" (figli della gente umile) che parlavano un italiano smozzicato, ma pure un Dialetto Bustocco, appreso con poca passione; quasi a misconoscerlo. Io, invece, volevo che a Scuola si fosse liberi di esprimerci come il buon Dio mi aveva insegnato. E, con Lui, i miei familiari. Concordi del mio "appeal" Bustocco che (allora non lo sapevo - ora si) voglio portare sino alla morte - tanto da ergermi davanti al Padre Eterno, dicendoGLI "accettami come sono" - ho avuto la fortuna di nascere a Busto Arsizio, da Famiglia Bustocca "nativa e lavativa", non togliermi questo "pedigree" che mi sento addosso con onore e nessuno deve calpestarmelo.

Giusepèn è solare (a dir poco) - "t'è idaè che anca ul Signui al t'à troea 'n postu par discuri in Dialettu Bustoccu...magora, inveci da serà su 'n oegi, i u querta tuci e du" (vedrai che anche il Signore, ti trova un posto per discutere in Dialetto Bustocco... magari invece di chiudere un occhio, ne chiuderà tutti e due" - Dio vede e Dio provvede! - Giusepèn, gha sto'n Nocino!

Gianluigi Marcora

TI RICORDI COSA È SUCCESSO L’ANNO SCORSO A GIUGNO?
Ascolta il podcast con le notizie da non dimenticare

Ascolta "Un anno di notizie da non dimenticare 2024" su Spreaker.
Prima Pagina|Archivio|Redazione|Invia un Comunicato Stampa|Pubblicità|Scrivi al Direttore