Con Giusepèn, oggi, si discute di ….Economia; quella che riguarda i "danè", i "franchi", i "parpài". Diciamolo subito: i "danè" sono i soldi e si usa il vocabolo in tutta la Lombardia (segno quindi che il vocabolo è di estrazione Celta) - i "franchi" (un francesismo, bello e buono importato a noi dai Liguri) rappresentano le "lire", l'unità di moneta in vigore in Italia, prima dell'Euro - quindi siamo ai "parpài" che è puro Dialetto Bustocco da strada che rappresenta una "variante" di lira e di danè o soldi!
Due sono gli esempi che mette in campo Giusepèn. Sono inediti, rispetto a quanto pubblicato sui libri, "ul Giusepèn" e "Giusepèn e Maria" - analizziamone il significato letterale e … morale!
Il primo: "ul paesàn gurdu, al vò'n leciu senza scena" che tradotto in italiano e in maniera letterale, significa "il contadino esoso, va a coricarsi senza avere cenato" - non per altro, ma è per avere preteso il massimo del raccolto, quando avrebbe dovuto essere maggiormente accordo e limitare i danni che poi ha provocato il temporale o il cattivo tempo - nel pratico, diciamo che il contadino aveva l'erba falciata di fresco e l'ha sparsa per tutto il rettangolo del campo - avrebbe dovuto temere il cattivo tempo e, col temporale, l'erba si è di nuovo bagnata e, a raccoglierla e accumularla è occorso troppo tempo. Col risultato di sprecare la fatica, avere l'erba bagnata che non può formare i covoni e, addirittura far del male alle bestie in stalla che, mangiando il fieno bagnato, possono avere dei … "contrattempi" di una certa gravità.
Altro esempio è quando il contadino carica troppo il carretto, per portare a casa tutto il raccolto. Si, potrebbero compiere due viaggi in meno, ma col carretto troppo carico, il cavallo si stanca prima e va a finire che rallenta di brutto, l'andatura - oppure, si rischia di sfasciare il carretto stesso e doverlo poi riparare con un esborso di soldi, inaspettato.
Il secondo esempio è dedicato alle spese di famiglia - all'epoca, le Entrate di una Famiglia di Contadini erano rappresentate dalla vendita dei prodotti dell'orto, della campagna e dai servizi che il contadino poteva procurarsi, conto terzi;. dalla campagna si raccoglievano le patate, il frumento, la segale e quant'altro era prodotto "per estensione", mentre dall'orto, si ricavavano le verdure e la frutta. Dal pollaio, oltre alle uova, il contadino poteva vendere galli e galline … perfino i pulcini, e pure allevare conigli. Tutto ciò rappresentava un'Entrata che doveva soddisfare molteplici esigenze. Dal vitto per l'intera famiglia, alle spese personali di ciascun familiare, oltre alle spese sanitarie, per l'istruzione e pure per un sano divertimento.
Quindi, occorreva (e qui erano fantastiche economiste le donne); soprattutto la "masèa" (mamma o donna di casa) - loro, centellinavano le spese per i bisogni giornalieri, con le spese "a lunga gittata". Ad esempio, un vestito nuovo per il fratello maggiore che poi passava al fratello minore; quindi al terzogenito - per il padre c'era "ul sgechè" (gilèt o giubbetto), "ul tabaru" (il tabarro), scarpe, calze e pantaloni che, una volta "lisi e rivoltati" servivano solo per diventare "panni per la pulizia".
Ecco il senso del "chi lù misùa, lu dùa" (chi imposta la spesa accuratamente, può far durare i denari a disposizione, senza ricorrere a "strengi a zenta" (stringere la cintura) che è un sinonimo di compiere ristrettezze
Certo, si tratta di Economia spicciola, di chi ha poco e, (come recita un proverbio siciliano) "cu picca ave, caro tene" (chi poco ha, caro se lo tiene). - anche qui (lo catechizza Giusepèn): Nocino!