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Sport | 28 maggio 2025, 19:40

Heysel 1985: un bustocco racconta l'orrore della finale Juve-Liverpool. «Vidi il muretto crollare»

«Non capimmo subito la gravità»: il lucido e doloroso affresco di quella tragica notte di quaranta anni fa fatto da Mimmo Cicero, all'epoca 29enne , che visse la tragedia dell'Heysel dalla curva opposta insieme a un centinaio di persone arrivate sui due pullman organizzati dallo Juventus Club Busto Arsizio. «Mi chiedo ancora oggi come mai la Juve fece quel mezzo giro di campo festeggiando col trofeo»

Heysel 1985: un bustocco racconta l'orrore della finale Juve-Liverpool. «Vidi il muretto crollare»

Il 29 maggio 1985 è una data che ha cambiato il mondo del calcio. I tragici fatti dell'Heysel di Bruxelles, oltre alla lunga squalifica inflitta alle squadre inglesi, portarono a rivedere le norme di sicurezza all'interno degli stadi. I fatti di quella sera e le 39 vittime per i disordini occorsi prima della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool sono ancora nei ricordi di chi visse quella sera, anche a distanza. 

Nella capitale belga c'erano anche due pullman arrivati da Busto Arsizio, organizzati dallo Juventus Club che a quel tempo aveva sede in un bar in piazza Vittorio Emanuele II. Tra i presenti quel giorno c'era Mimmo Cicero, all'epoca 29enne e già padre di due figli, partito dalla nostra città con l'entusiasmo di chi segue la propria squadra del cuore in una trasferta storica. La sua testimonianza, raccolta a quattro decenni di distanza, è un lucido e doloroso affresco di quelle ore drammatiche.

«Era la prima volta che seguivo la mia squadra del cuore all'estero – spiega il fedele e sportivo tifoso bianconero – Era forte l'emozione, vista anche l'importanza della partita». Il viaggio verso il Belgio fu lungo tredici ore: i due torpedoni partirono da Busto la sera precedente alla finalissima e arrivarono a Bruxelles in mattinata, verso le 8.30. 

«Una figura di spicco del Juventus Club di Busto Arsizio era il mitico Renato Ciapparella - racconta Mimmo - : lui era sempre il responsabile del pullman. La sua funzione nel viaggio era la distribuzione dei biglietti, incassare il costo del viaggio. Nella sua vita ha visto tutte le partite della Juve in tribuna, sia in casa che in trasferta. Solo un lieve infortunio gli impedì, quell'anno, di andare a Tokio per la finale di Coppa Intercontinentale. Era sempre al fianco dell'autista e durante il viaggio ci deliziava con i suoi racconti delle partite, con Boniperti, Anastasia, Sivori fino a Platini e i primi anni di Del Piero e Baggio. Un personaggio carismatico per cui i tifosi del club avevano una forma di devozione. A Bruxelles la gendarmeria voleva farci parcheggiare il pullman lontano dallo stadio e farci raggiungere lo stadio in metropolitana, ma lui si impuntò, asserendo che, non conoscendo la città, avremmo potuto avere problemi.. Così grazie a lui potemmo parcheggiare in uno spazio adiacente l'impianto, per fortuna a fronte di quello che poi è successo».

L'arrivo nella capitale belga, però, presentò subito un'atmosfera diversa da quella sognata. «La prima cosa che notai - racconta Mimmo - furono i tifosi del Liverpool in giro con pinte di birra già di prima mattina». Un presagio, forse, di una giornata che avrebbe preso una piega ben diversa da una semplice festa sportiva. Anche il pranzo, in una pizzeria chiamata "Capri" vicino alla Grand Place, fu turbato: «I tifosi inglesi ruppero una vetrata del locale ma i proprietari non si scoraggiarono e nel giro di venti minuti arrivò il vetraio per cambiarla».

L'avvicinamento allo stadio Heysel aumentò il senso di inquietudine. «C'era polizia a cavallo – ricorda Cicero - L'ingresso nel settore destinato ai tifosi juventini fu un'esperienza singolare: si passava da una 'porticina' strettissima». Fortunatamente il suo biglietto, così come quello di tutti quelli che viaggiavano con lui, era nel settore M posto nella curva opposta a quella in cui si consumarono i tragici fatti di quella notte. «Eravamo sul lato opposto dello stadio, quello interamente occupato dai tifosi juventini. Il settore Z, quello dove poi successe il finimondo, invece era di fianco ai tifosi del Liverpool ed era pieno di famiglie e tifosi indipendenti, che magari avevano preso il biglietto in un secondo momento rispetto a noi che facevamo parte dei gruppi organizzati».

Ma furono le condizioni strutturali dello stadio a destare le maggiori preoccupazioni: «La cosa che mi colpì subito fu la separazione tra i settori di inglesi e juventini: c'era solo una rete metallica che sembrava quella del mio giardino - descrive con amara ironia Mimmo - e i gradoni di cemento erano talmente vecchi che si sbriciolavano solo a guardarli. I controlli per entrare? Praticamente nulli».

Prima che l'orrore si scatenasse, ci fu spazio anche per un momento di apparente normalità: «Prima della partita ci fu una partitella di bambini». Poi, l'inevitabile. «A un certo punto, dalla mia postazione in alto, vidi chiaramente i tifosi del Liverpool caricare verso il settore Z, facendo pressione. Vidi il muretto crollare sotto la spinta». In quegli istanti concitati, la percezione della tragedia fu parziale. «Lì per lì, noi della curva opposta non capimmo subito la gravità, non sapevamo dei 39 morti. La partita fu ritardata di più di un'ora, un'atmosfera surreale. Pensavamo ci fosse stato solo qualche ferito e nulla di più».

La piena consapevolezza dell'entità del disastro arrivò solo durante il viaggio di ritorno verso Busto Arsizio. «Sentimmo parlare prima di due morti, poi la cifra aumentò. Lungo l'autostrada vedemmo degli striscioni con scritto 'Inglesi Assassini'». Al parcheggio dei pullman, prima di ripartire, l'incontro con un vecchio amico di Cislago, Mario, fu un altro pugno nello stomaco: «Mi raccontò di essere stato coinvolto negli scontri: “Ho preso due pugni, ma gliene ho date tante!”, mi disse».

L'esperienza personale di Mimmo fu segnata anche da un dettaglio fisico: «Io all'epoca avevo un forte mal di schiena, un'infiammazione al nervo sciatico. Ho pensato spesso che se fossi stato in quel settore, con quel dolore, non so come avrei fatto a scappare».

L'assenza di tecnologia moderna rese ancora più angosciante l'attesa di notizie per chi era rimasto a casa. «Noi non avevamo i telefonini allora, per avvisare a casa fu un'impresa. Riuscii a chiamare solo alle 5 del mattino dopo, dal Lussemburgo». Il postino di Sant'Anna, Amedeo, raccontò che sua moglie al rientro gli diede quattro schiaffi per sfogare tutta la paura che aveva accumulato.

Il trauma dell'Heysel segnò profondamente Mimmo. «Avevo giurato di non mettere più piede in uno stadio, ma la infransi qualche mese dopo, a ottobre dello stesso anno, per accompagnare mio figlio piccolo a vedere Como-Juventus. L'ultima volta invece due anni fa quando sono stato allo Juventus Stadium per assistere insieme alla mia nipotina alla sfida con il Cagliari»

Ma la critica per la gestione di quella finale resta: «I controlli furono carenti e la gestione delle forze dell'ordine locali fu estremamente lacunosa. Quel che mi chiedo ancora oggi, poi, è come mai la Juve fece quel mezzo giro di campo festeggiando col trofeo. Col senno di poi, fu una cosa eccessiva. La gente era lì per la partita, certo, ma a pochi metri c'era la camera mortuaria».

A distanza di 40 anni, il racconto di Mimmo Cicero, bustocco testimone dell'orrore, è un monito e un ricordo incancellabile. «È un'esperienza che, anche oggi, ricordo con profonda tristezza». Una tristezza che appartiene non solo a lui, ma a un'intera generazione di appassionati di calcio, segnata per sempre dalla notte dell'Heysel.

Giovanni Ferrario


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