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Calcio | 10 settembre 2023, 10:58

INTERVISTA ESCLUSIVA - Ciccio Graziani, bomber eterno: «Il gavettone a Bearzot? La situazione ci sfuggì di mano...»

Aneddoti incredibili, umanità, veracità e schiettezza: il nostro giornale ha intervistato uno dei simboli di un mondo del pallone che è rimasto nell'anima, a partire dalla vittoria del mondiale 1982. «Grazie a mia madre non lasciai Arezzo: volevo mollare tutto, invece diventai calciatore». «Il Varesotto? Non lo conosco, ma me lo descrivono bellissimo e il Varese di Maroso fu una fucina di giovani». «Quella volta che feci il portiere dagli spalti mi applaudirono...»

Ciccio Graziani insieme all'ex portiere Renato Copparoni

Ciccio Graziani insieme all'ex portiere Renato Copparoni

Francesco Graziani, meglio conosciuto con il soprannome di "Ciccio", bomber di razza, con i suoi 122 goal segnati nel Torino si trova tuttora al settimo posto della classifica dei marcatori del club granata, dietro al grande Valentino Mazzola. È stato campione del mondo nel 1982. Terminata la sua carriera calcistica, ha fatto l’allenatore e si cimenta come autorevole opinionista sportivo. 

Questi i suoi racconti in esclusiva a VareseNoi e a ilBustese. 

Ciccio, quali sono stati i suoi primi approcci con il pallone?

Sono nato a Subiaco, paese nel quale è nata anche Gina Lollobrigida, un bellissimo borgo cui sono tuttora molto legato e in cui vado spesso a trovare i miei familiari e i miei amici. Lì il pallone era il divertimento prediletto di noi ragazzi. Appena si poteva si organizzavamo le partitelle, prima però andavo ad aiutare mio fratello a fare l’imbianchino, grattando con la carta vetrata i serramenti in legno. Avevo 12 anni e allora era così: con il sorriso i genitori ti "educavano" ai lavoretti.

Si racconta che lei da ragazzo andasse a giocare in un convento...

E raccontano bene. Avevo lo zio Donato che era il custode del Monastero di Santa Scolastica. Era consuetudine al sabato e alla domenica pomeriggio la partitella contro i seminaristi e alla fine ci davano una merenda buonissima. Che bei momenti... Non avevamo soldi in tasca ma ci si divertiva con poco. In famiglia eravamo due fratelli e due sorelle (io ero il più piccolo): mio padre faceva il muratore, lavorava 12 ore al giorno, mia mamma si occupava della casa e della nostra educazione e ogni tanto agitava il mattarello...

Grazie a sua madre è diventato calciatore...

Beh, in un certo senso sì. Avevo 16 anni, dopo aver giocato al Bettini Quadraro (zona Cinecittà) mi prese l’Arezzo, ma mi ammalai di una broncopolmonite. Avevo nostalgia del paese e della mia famiglia. Presi il treno e tornai a Subiaco: volevo lasciare Arezzo. Mia madre quando mi vide arrivare mi fece ragionare, mi convinse a ritornare e mi accompagnò di nuovo lì. Mi fece capire di non buttare al vento l’opportunità che la vita mi offriva in quel preciso momento. Fu un insegnamento che mi fece maturare, la mia in quel momento era la crisi di un adolescente. Pensare che poi ad Arezzo, città dove abito e cui sono legatissimo, ho conosciuto anche mia moglie Susanna ed è iniziata la mia storia sentimentale, professionale e calcistica.

Da Arezzo a Torino, con i granata. 

Altro importante ciclo di vita. Nel capoluogo piemontese ho esordito ventenne in serie A con la Sampdoria, ho vinto un glorioso scudetto nel campionato 1975-76 e ho avuto compagni meravigliosi. Eravamo un gruppo unico, si era creata una straordinaria alchimia. Ancora oggi le nostre mogli hanno una chat di Whatsapp in comune e si sentono regolarmente.

Come del resto succede a voi compagni del memorabile mondiale 1982...

Sì, siamo anche noi sempre in contatto. Quell'esperienza è stata un momento magico, con compagni indimenticabili.

Perché secondo lei quel mondiale è ancora nel cuore degli italiani?

È stato un momento storico. Era il primo mondiale che si vinceva dopo il 1938 e si aveva ancora nella mente la finale con il Brasile nel 1970, persa dopo un'avvincente e storica semifinale con la Germania. Ed è stato un frangente in cui gli italiani avevano bisogno di evasione. È successo tutto questo, forse non c’è una reale spiegazione ma è accaduto ed è stato bello: per noi, per i tifosi, per la storia della maglia azzurra e per tutto il popolo italiano. 

A proposito di nazionale: ci racconta l’episodio inedito del famoso gavettone al commissario tecnico Bearzot?

Avevamo vinto contro il Brasile con una tripletta di Paolino Rossi la sera prima. Eravamo tutti euforici, potete immaginare quanto, e giocavano tra di noi a farci i gavettoni fuori dalla piscina. Qualcuno ebbe l’idea di farne uno anche al nostro grande mister, cosa non facile: dovevamo far avviciare Beazot al bordo piscina, così chiedemmo la collaborazione del nostro "fratellone" più serio, ovvero il portierone Dino Zoff. Bearzot quindi si avvicinò effettivamente a bordo piscina e nella concitazione del momento fu forse spinto in acqua o cadde, non ricordo: fatto sta che si trovò in acqua completamente vestito con occhiali e pipa. C'era un problema: non sapevamo che il c.t., poveretto, non sapeva nuotare... Allora ci tuffammo per tirarlo fuori... Direi che l'episodio, anche se roccambolesco, ci ha portato fortuna. 

Graziani, conosce la zona del Varesotto ed il lago Maggiore ?

Purtroppo no, ma mi sono sempre proposto di venirci e ascolto sempre volentieri i racconti del mio amico Renato Copparoni, con il quale collaboriamo per gli stage calcistici in giro per l’Italia. Renato, ex portiere del Cagliari anni 1970, fece un ritiro assieme a Gigi Riva nel suo paese natale, Leggiuno: ancora oggi mi descrive i bellissimi colori del lago ed il panorama delle Isole Borromee. Non solo: i miei amici e compagni di Nazionale, Giampiero Marini e Claudio Gentile, mi hanno anche raccontato la storia del glorioso Varese ai tempi di Pietro Maroso. Era una fucina di giovani calciatori. Infine a Varese ci abita il dottor Luciano Lucchina, storico massaggiatore del mio glorioso Torino, venuto da noi dopo la gavetta fatta nei biancorossi: Luciano è una persona speciale, straordinaria, un serio professionista. Si integrò subito nel nostro gruppo e ha poi fatto una brillante carriera come medico. Approfitto per salutarlo e mandargli un abbraccio. 

Da uomo di lago le chiedo di Gigi Riva...

Che dire di Rombo di Tuono... Un calciatore esemplare, un grande dirigente, un grande uomo, un esempio di vita che i giovani anche oggi devono imitare. Gigi è la storia del calcio italiano.

Parliamo dei ragazzi che si avvicinano al calcio?

I ragazzi devono avvicinarsi con il giusto approccio. Con il sorriso e con lo spirito del divertimento, conciliando sport e studio e sapendo che praticare sport fa bene e studiare è indispensabile. Devono anche sapere che arrivare nei professionisti è difficile, però devono metterci il giusto impegno, perché impegnarsi e fare sacrificio serve sempre per raggiungere gli obiettivi della vita. Negli stage calcistici che facciamo io e Copparoli cerchiamo sempre di spiegare anche questo, insieme alla preparazione specifica che facciamo praticare.

Ci racconta quando fece il portiere nel Torino al posto di Luciano Castellini?

Mister Radice scelse il sottoscritto in una gara di ritorno, in trasferta, contro il Borussia (anno 1976-77). Durante l’incontro vennero espulsi sia Caporale che Zaccarelli e poi Castellini, il giaguaro. Il mister mi chiamò e mi infilò i guantoni: mancavano 20 minuti, non feci passare neppure una rete…. Anzi il pubblico tedesco applaudiva ad ogni mio intervento. Ancora oggi il mio socio e amico di stage Copparoni, portiere che parò un rigore a Maradona, si chiede come abbia fatto… Ma questo fa parte della storia di quel periodo…

Claudio Ferretti


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