Era nato il giorno di San Giovanni Bosco - riempiendo di gioia e gratitudine mamma Giuseppina e papà Carlo -, se n'è andato proprio nelle ore della Pentecoste. Segni che hanno scandito la vita di monsignor Giovanni Giavini. Lo fa notare con commozione suo fratello Luigi, scrittore.
Bustocco, ma profondamente legato a Milano: attualmente si trovava alla parrocchia Mater Amabilis, un riferimento amato e apprezzato. La sua esistenza, i suoi studi, la sua visione della fede sono stati nel segno profondo del cardinale Carlo Maria Martini. L'amore per la Bibbia e per la sua bellezza, soprattutto la grande apertura e la convinzione quindi che andasse diffusa a tutti.
Già docente di scienze bibliche nei Seminari e all’Istituto di Scienze religiose di Milano, oltre che guida di parecchi corsi all’Ambrosianeum e altrove e autore di molti libri, fu nominato monsignore nel 1992 da papa Giovanni Paolo. Il cardinale Martini - ricorda il fratello Luigi - l'aveva chiamato a Milano a dirigere l'ufficio catechisti. Un impegno incessante per la Parola.
«Aveva delle idee di rinnovamento del modo di vedere la religione come fratellanza - spiega il fratello Luigi - Una volta lesse una preghiera a un incontro e chiese: per voi di chi è? Chi pensava a San Paolo, chi ad altri. Poi lui rispose, no, viene dalla Polinesia e non è di un cattolico».
La ricerca della verità è un meraviglioso assillo per tutti gli uomini, di ogni epoca, che vedeva per lui l'anello finale in Cristo.
Andò prestissimo in seminario, a 11 anni. La mamma l'aveva indirizzato con fede verso questo cammino, ringraziando Dio di averle dato quel figlio, il primo a cui sarebbero seguite altre gioiose nascite: tre fratelli e cinque sorelle. Diceva, monsignor Giavini, sul Canto Novo di San Giovanni a Busto: «Dalla mamma ho imparato a leggere bene e preparare prediche brevi e comprensibili per la gente come lei, che aveva l'istruzione elementare».
Una volta, i tedeschi fermarono il furgone su cui il padre stava portando delle pezze: c'era questo ragazzino, vestito da prete, che mangiava un panino. Un soldato commentò: «Guten Appetit». Lo lasciò andare: paura e sollievo, perché dietro le pezze erano occultate delle armi per i partigiani.
Il suo destino è stato quello di una lunga vita dedicata alla Bibbia e al dialogo con tutti, di incontri con personaggi notevoli, non di incarichi prestigiosi perché li ha sempre rifiutati. Don Giovanni - spiega Luigi - voleva il contatto con la gente. Scriveva, ancora, sulle pagine di Comunità: «C’è sempre da imparare moltissimo in mezzo alla gente».
Aveva una bellissima amicizia con monsignor Claudio Livetti, che ha un anno più di lui, ed era fiero di definirsi bustocco purosangue. La cognata Graziella, grande cuoca, gli aveva parlato di recente dei bruscitti, che gli piacevano moltissimo, destandogli un sorriso. Con la sua lucidità e quel suo modo di vivere la fede con gli altri, ha portato la luce a tutti fino all'ultimo. Nel bellissimo messaggio di auguri lo scorso Natale sottolineava: «Tutti sentiamo i dubbi. Come diceva il cardinale Martini non è più possibile credere in Dio come prima dopo Auschwitz. Bisogna credere in Dio in un modo nuovo».
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