«Una nota positiva in questa crisi generale c’è: è il prezzo del latte nella stalla. Il buon accordo siglato, è una boccata d’ossigeno, anche in relazione agli aumenti dei costi di produzione. Ma non basta».
A dirlo è Paolo Carra, vicepresidente di Coldiretti Lombardia, soddisfatto per aver siglato il prezzo per i produttori, ossia un accordo che ha previsto quattro fasce fino a fine anno. Questa estate - luglio e agosto - il prezzo era di 55 centesimi al litro, per poi salire a 57 centesimi nei mesi di settembre e ottobre, 58 centesimi al litro per novembre e 60 centesimi al litro per dicembre
«La media di 57 centesimi al litro - precisa Carra - può considerarsi buona, anche se il settore è in continua evoluzione, per schivare le problematiche più diverse e pur sempre gravi, dalla siccità al caro bollette, all’aumento del prezzo del foraggio. Diciamo però che questo accordo ha concesso ai produttori di poter guardare al futuro con più tranquillità».
Il latte è uno degli alimenti più penalizzati dall’incredibile sequela di eventi negativi registrati in questi anni, dalla pandemia alla guerra. In Lombardia ci sono aziende che rischiano di chiudere per questa crisi mondiale?
Chi ha già chiuso aveva già un equilibrio precario prima e le criticità di questo periodo sono stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il fenomeno che si registra è un altro, ossia la riduzione del numero di capi allevati in stalla, in modo da contenere le spese senza abbandonare il mercato produttivo. Però sul settore ha inciso molto il caro energia e soprattutto l’aumento dei mangimi, per questo se il trend continuasse ad essere così al rialzo, Coldiretti stima che in Italia il 10 per cento degli allevamenti potrebbero chiudere. Senza contare la siccità che ha messo in seria difficoltà la produzione stessa di latte. Le mucche stressate dal caldo producono fino al 20% in meno di latte. Nonostante le ultime piogge, che spesso hanno fatto danni per la loro violenza, il conto dei danni dovuti alla siccità nelle campagne italiane è ormai salito a 3 miliardi di euro. Solo nel bacino della pianura padana è minacciato il 30 per cento dell’agroalimentare Made in Italy e la metà dell’allevamento che danno origine alla food valley italiana conosciuta in tutto il mondo.
Infatti Coldiretti, tra le richieste da fare al governo che si insedierà dopo il voto del 25 settembre, ha inserito tra i primi punti, la necessità di creare invasi.
La crisi idrica che stiamo vivendo non dipende solo dal clima ma anche da una mancanza di programmazione nella gestione delle risorse idriche. Sono passati cinque anni da quando Coldiretti ha presentato un progetto per realizzare bacini di accumulo, per garantire a famiglie ed imprese, nonché energia pulita. Il tempo perso è costato oltre sette miliardi l’anno. Raccogliamo l’11 per cento dell’acqua piovana, dobbiamo arrivare al 50.
Da questa crisi globale alla guerra del latte, il passo pare breve. Produrre meno latte significa anche produrre meno formaggi, molti dei quali esportati in tutto il mondo.
Sì, certo. Quella della trasformazione è una fase molto importante e fortemente legata alla produzione del latte. Una delle carte vincenti della Lombardia, è proprio quello di avere la maggioranza dei produttori che sono anche trasformatori della materia prima. In questo ultimo periodo, inoltre, abbiamo assistito ad un aumento spropositato del latte acquistato dalle famiglie. È necessario un intervento del governo o le ripercussioni su imprese e famiglie saranno devastanti. Durante la pandemia abbiamo sempre assicurato la presenza dei nostri prodotti sugli scaffali, ora la politica si deve dare una strategia di sovranità alimentare, deve mettersi in un’ottica del fare, perché aziende come le nostre, che non possono delocallizzare, costi come questi non sono in grado di sostenerli.













