Lunedì si è tenuto l’ultimo incontro della serie “Per colpa di essere nati: la Shoah e l’infanzia negata”, con la testimonianza delle sorelle Andra e Tatiana Bucci, sopravvissute al campo di concentramento di Auschwitz. L’iniziativa è stata organizzata dall'Associazione Amici di Angioletto, presieduta da Anna Longo, in collaborazione con il Liceo Artistico Paolo Candiani-Coreutico Musicale Pina Bausch e con l’adesione di IPSSCT Verri e Siae Marchetti di Busto e Istituti Cavallotti di Cassano Magnago.
«Ringrazio per l’invito a questo incontro, che conclude un percorso molto significativo – ha affermato il sindaco Emanuele Antonelli –. Ho partecipato al primo e mi fa piacere salutarvi al termine di queste giornate di formazione e consapevolezza. Purtroppo, quest’anno non è stato possibile organizzare in presenza i consueti appuntamenti di approfondimento e di valorizzazione della memoria. Ma la qualità di questo corso ha ampiamente compensato il vuoto creato dalla pandemia, anzi l’ha riempito con nuovi contenuti e spunti di eccezionale rilevanza». Il primo cittadino si è poi rivolto agli studenti: «Avete l’occasione di ascoltare due testimoni eccellenti; il loro racconto resterà impresso nella vostra memoria per sempre. Ricordatevi che la testimonianza diretta ha un valore inestimabile, fatene tesoro e diventate a vostra volta testimoni».
Le sorelle Bucci, alternandosi nel racconto, hanno ripercorso la loro vita, partendo dai genitori, fino al ritorno in Italia.
«Quando vennero introdotte le leggi razziali – ha raccontato Tatiana – i fratelli e le sorelle di mia mamma persero il lavoro, e i miei cugini dovettero lasciare la scuola». La maggiore delle sorelle ha ricordato il giorno dell’arresto: «Ci svegliammo, perché cominciammo a sentire dei rumori in casa. Una volta vestite, andammo in soggiorno e ho un ricordo nitido: la nonna che, inginocchiata davanti al capo della spedizione, lo pregava di lasciare almeno noi bambini a casa». Poi il racconto del viaggio che da Fiume, dove vivevano, li portò al treno per Aushwitz.
Andra ha ripercorso l’arrivo al campo di concentramento: «Entrammo, ci spogliarono, alle donne tagliarono i capelli, a noi bambini no. C’è stata una disinfestazione, una doccia, poi ci hanno dato nuovi abiti non certo adatti al clima». Poi il ricordo del tatuaggio: «Arrivammo in una stanzetta, dove c’era un piccolo tavolino grande come un banco. C’erano un uomo e una donna con in mano una penna, di quelle con il pennino. Dovevi porgere il tuo braccio sinistro e ti tatuavano il numero, formato da tanti piccoli puntini. La mamma si fece tatuare per prima, sicuramente per capire se questa cosa era dolorosa o no, poi venimmo io e Tati. Il mio numero è 76483. Tati ed io non abbiamo mai pensato di cancellarlo, perché fa parte della nostra vita. Io credo che se anche l’avessimo tolto, sarebbe comunque rimasto impresso nella nostra mente. Poi perché cancellarlo? Per me non è una cosa brutta, anzi, molto spesso senza rendermene conto, strofino il braccio. È un segno che dimostra che noi siamo tornate a casa e che ce l’abbiamo fatta. Dopo il tatuaggio incominciò la nostra nuova vita».
Nei ricordi ci sono il freddo pungente, il fumo e le fiamme che uscivano dalla ciminiera, i giochi intorno ai cumoli di cadaveri ed episodi terribili. Fino alla liberazione: «Di quel giorno – ha detto Tatiana – ricordo un grandissimo movimento di camion. Ricordo un militare, seduto sul cofano della macchina. Sulle ginocchia aveva una piccola tavoletta, grande come un foglio di carta, e un salamino che tagliava con un coltellino. Noi bambini eravamo attorno alla camionetta e lui ci dava queste fettine di salame. Inoltre, i soldati per il campo ci sorridevano e ci parlavano».
Poi le sorelle vennero mandate in un orfanotrofio a Praga e in seguito in un centro per bambini ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio a Londra, dove vennero rintracciate dai genitori, con i quali tornaronoa vivere a Trieste.
Nel finale, Tatiana ha osservato come «ancora ieri si parlava della Siria e dei bambini siriani. Ancora oggi succedono cose orribili. Certo, non è un olocausto, perché è una cosa unica. Però stanno succedendo cose troppo crudeli, la gente non è libera e soprattutto sono presi di mira anche i bambini ed è una delle ragioni per cui continuo e continuerò finché potrò a testimoniare. Forse proprio perché potrà servire come monito e qualcuno finalmente capirà che bisogna unirsi e non dividersi. Noi siamo fortunate, perché ci siamo sposate e abbiamo avuto dei figli. La cosa più bella della mia vita sono i miei nipoti, perché soprattutto loro sono la dimostrazione che non siamo state annientate come avrebbero voluto e che la vita continua. Che nonostante tutti gli errori, la vita è bella».