Come saltava, Achille. Saltava e ci faceva sognare in quella squadra che mai dimenticheremo: perché mai si dimentica chi ti fa credere che i sogni a volte si possono avverare.
Come saltava, Achille. E faceva canestro. E tirava giù rimbalzi. E noi, Achille, ce l’abbiamo ancora nel cuore come abbiamo nel cuore tutti quelli che hanno vissuto la stagione degli “Indimenticabili”: bellissimi e maledetti, e proprio per questo terribilmente varesini.
Ce l’abbiamo nel cuore anche oggi, anzi forse oggi ce l’abbiamo ancora un po’ di più. Oggi, proprio oggi che non ci sono parquet, canestri, tifosi. Non c’è rumore di tamburi né cori che riempiono il palazzetto. Oggi che c’è silenzio, e dentro quel silenzio il cuore di Achille Polonara batte con la forza di chi non si arrende. Batte, ma dall’altra parte: non in campo, ma dentro una stanza d’ospedale, con un trapianto di midollo a decidere una partita che mette in palio la sua vita.
Fa male pensarlo? Tanto. Fa male e fa nascere domande, anzi: fa nascere una domanda sola. Ma noi, cosa facciamo?
Perché questo è il punto. E perché va bene la sacrosanta retorica del “Forza Achi tifiamo per te”. Ma leviamoci la maschera e diciamo le cose come stanno: il trapianto che oggi terrà Achille aggrappato alla vita è possibile solo grazie a qualcuno che ha detto sì. Qualcuno che ha scelto di esserci, di donare. Qualcuno che non conosceva Achille, non sapeva nulla di lui, ma ha scelto lo stesso di donare una possibilità. Una possibilità che oggi diventa vita.
A Varese abbiamo avuto un maestro che questa lezione ce l’ha sbattuta in faccia per anni: Tarcisio Vaghi. Ci ha insegnato che la donazione di midollo non è un gesto per altri, è un pezzo della nostra umanità che si allunga, che diventa carezza, che diventa futuro. Oggi Tarcisio non c’è più. Ma in realtà c’è ogni volta che qualcuno trova il coraggio di iscriversi al registro donatori, c’è ogni volta che un ragazzo riceve una diagnosi e poi un’altra possibilità, c’è ogni volta che la speranza trova strada.
Ecco perché oggi, nel giorno di Achille, non possiamo fermarci alla commozione. Non basta dire “forza” e stringere i pugni. Serve di più. Serve fare la nostra parte. Serve andare sul sito dell’ADMO, informarsi, iscriversi. Serve trasformare la paura in scelta. Perché un giorno quel sì potrebbe significare vita per qualcun altro.
Achille oggi combatte la sua partita più dura. Ma non è solo. È con lui chi ha scelto di donare. È con lui chi ha già fatto il passo. È con lui chi oggi, leggendo queste righe, decide che non resterà spettatore.
Perché lo sport ci ha insegnato che il canestro più importante è quello che non ti aspetti, quello che arriva quando sei spalle al muro. Oggi quel canestro è possibile.
E allora sì, Achille: lotta. Noi siamo con te. Non sugli spalti, non nei cori o sugli striscioni. Ma dentro quel filo invisibile che lega chi dona a chi riceve, chi sceglie di dare un pezzo di sé a chi ha bisogno di continuare a vivere.
E dentro questo filo c’è Varese, c’è Achille Polonara, c’è il “polpaccio di Dunston”. C’è Tarcisio. E ci siamo tutti noi.














