Da Arcisate a Saronno, un tour di tre mesi tra le case di comunità della provincia di Varese. A compierlo il consigliere regionale del Partito Democratico Samuele Astuti, da sempre attento al tema della sanità.
Dodici “e mezzo” le strutture attive sulle venti previste nel territorio. Di queste, afferma Astuti, «soltanto due» (quelle di Arcisate e Saronno) rispettano i parametri del decreto ministeriale 77 adottato con delibera regionale. «In regione Lombardia sono solo dieci su 216 a rispettare tutti i requisiti minimi ministeriali».
Tra le problematiche evidenziati dall’esponente dem, ci sono la mancanza di personale, i dubbi sulla possibilità di rispettare i tempi di chiusura dei lavori e il fatto che le strutture «oggi non intercettano moltissima domanda». Non mancano, però, gli aspetti positivi: «Il personale è motivato e consapevole dell’importanza del servizio che possono offrire. E anche la presenza lo psicologo delle cure primarie è un elemento importante». Insomma, «le case di comunità sono uno degli elementi utili per provare a cambiare verso nella sanità. Ma bisogna rimboccarsi le maniche».
Bertolaso e i dg
Astuti presenta nella sede del Pd in via Monte Rosa a Varese i risultati del suo viaggio nelle case di comunità all’indomani dell’informativa in Consiglio regionale dell’assessore al Welafre Guido Bertolaso, dopo la sua frase rivolta ai dg ospedalieri: «Se non siete in grado di fare i manager, andate a vendere mozzarella». «Bertolaso riversa tutte le responsabilità delle inefficienze che lui stesso riscontra sui dg - su Varese lo aveva fatto in maniera molto “dritta” – senza rendersi conto che il problema riguarda il sistema nel suo complesso».
I problemi del Sistema sanitario nazionale
La conferenza di Astuti parte dai problemi del Sistema sanitario nazionale. «Innanzitutto i lunghissimi tempi di attesa. Per una mammografia si arriva a 700 giorni e ci sono esami fissati al 2027. E poi l’affollamento dei pronto soccorso, dove i cittadini vanno perché non hanno altri luoghi dove recarsi». Il consigliere dem evidenzia anche il «costante aumento della spesa privata»: «Il 41 per cento dei cittadini rinuncia a entrare in una struttura pubblica. E aumenta anche il numero di chi rinuncia alle cure, ed è la cosa che preoccupa di più».
Quali le risposte? «Sono diverse – dice Astuti –. Stavolta mi sono dedicato a girare le case di comunità». Uno strumento in cui il consigliere crede, in particolare in una regione «che è tra quelle che soffre di più la mancanza di medici di medicina generale, mai valorizzati».
I numeri
Aperte 24 ore su 24, 7 giorni su 7, sono almeno 1.038 le case di comunità finanziate con le risorse del Pnrr in Italia destinate a essere il luogo fisico di facile individuazione al quale i cittadini possono accedere per bisogni di assistenza sanitaria e socio-sanitaria, come primo presidio della sanità territoriale rivolta al paziente.
Il tour di Astuti si è svolto fra metà febbraio e metà maggio tra quelle attive in provincia. Ad accompagnarlo in un paio di occasioni il senatore Alessandro Alfieri. «Sono dodici e mezzo», spiega. Un numero che deriva dal fatto che «quella di Somma Lombardo, non ancora presente, eroga servizi in Comune e nell’ospedale di comunità, mentre a Busto quella “spoke” a verrà breve chiusa e ristruttura e quella di Angera presenta grandi criticità». Nonostante le difficoltà a reperire tutti i dati, Astuti ha messo nero su bianco i servizi attivati nelle strutture.
Per quanto riguarda la Lombardia, una su tre è aperta 24 ore su 24; una su cinque ha un medico 24 ore su 24; una su tre non ha un punto prelievi e meno di una su cinque ha un infermiere 24 ore su 24.
In totale, «sono solo dieci le case di comunità lombarde che rispettano tutti i requisiti minimi ministeriali» in termini di servizi garantiti. In provincia di Varese, «a rispettare i parametri sono quelle di Arcisate e Saronno, una per Asst».
Il bilancio
«Io credo molto nelle case di comunità – conclude Astuti –. Non sono l’elemento che risolve tutti i problemi della sanità lombarda, ma uno di quelli fondamentali per provare a cambiare verso. Sulle strutture c’è ancora molto da fare. I servizi in parte non ci sono, serve ancora un grosso investimento. Chi va oggi e non trova i servizi rischia di non affezionarsi. E poi manca il personale. Diverse strutture hanno a disposizione strumenti per la diagnostica, ma non hanno personale sufficiente o questo non ha il tempo necessario per utilizzarlo. Inoltre, sono le case comunità che dovrebbero “ingaggiare” il cronico, ma questo avviene ancora in pochi casi».
Non è tutto da buttare: «Il personale è motivato e consapevole del grande lavoro che si può fare, con la possibilità di una vera presa in carico del cittadino. Importante il servizio psicologo delle cure primarie, partito in questi mesi. Ancora non è conosciuto, se lo fosse sarebbe già “in crash” perché i numeri sono insufficienti».
Insomma, «siamo in ritardo ma rimbocchiamoci le maniche. C’è un anno e mezzo per chiudere il progetto di avvio perché non svaniscano finanziamento del Pnrr».