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Politica | 12 giugno 2025, 17:55

«Prematuro parlare di un congresso del Pd. Al lavoro per unire chi vuole costruire un’alternativa a Meloni»

Il senatore dem varesino Alessandro Alfieri guarda soprattutto alle prossime regionali: «Se il progetto di una larga coalizione funziona, sarà un primo passo importante verso le elezioni politiche», dice. E sul referendum non nasconde di non aver condiviso la posizione di «chi tra i miei colleghi ha parlato di avviso di sfratto al governo». L’intervista

«Prematuro parlare di un congresso del Pd. Al lavoro per unire chi vuole costruire un’alternativa a Meloni»

Dopo il flop dei referendum, è tempo di riflessioni all’interno del Partito Democratico. Circola persino l’ipotesi di un congresso nazionale il prossimo gennaio. «Prematuro dirlo», frena il senatore varesino Alessandro Alfieri, coordinatore della minoranza dem Energia popolare. Per il quale la priorità sono le prossime elezioni regionali (in autunno si voterà in Veneto, Marche, Toscana, Puglia e Campania). «Se il progetto di una larga coalizione funziona, sarà un primo passo importante verso le elezioni politiche», dice Alfieri. Che, sul referendum, non nasconde di non aver condiviso la posizione di «chi tra i miei colleghi ha parlato di avviso di sfratto al governo». Lo aveva sostenuto, in particolare, il capogruppo Pd al Senato Francesco Boccia, tra i dirigenti del partito più vicini a Elly Schlein.

Senatore Alfieri, ci sarà un congresso del Pd all’inizio del prossimo anno?
«Mi sembra prematuro dirlo. Adesso siamo tutti impegnati a costruire i progetti credibili e vincenti per le elezioni regionali di ottobre-novembre. Saranno elezioni decisive per misurare la tenuta della coalizione la più larga possibile di centrosinistra e dei progressisti. Siamo al lavoro su quello, perché se il progetto per le regionali funziona, si è fatto un primo passo importante verso le elezioni politiche».

Leggiamo di malumori della minoranza dem perché la segreteria non viene convocata ma, allo stesso tempo, di visioni diverse nella stessa area riformista (qualcuno, si dice, si aspettava da Bonaccini un’opposizione interna più decisa). Qual è la situazione?
«A volte viene fatta un po’ una caricatura dai media. Dopodiché è vero che ci sono delle valutazioni diverse sulla lettura da dare ai risultati del referendum. Io mi sarei limitato a sottolineare l’importanza di 13 milioni di persone al voto sui quesiti del lavoro, con 12 milioni di sì. Questo segnala che c’è la richiesta di occuparsi di quei temi nelle sedi parlamentari. È un segnale importante e le persone che sono andate a votare vanno rispettate.
Da lì, trarne degli esiti politici confondendo il referendum con le elezioni politiche è fuorviante. Non ho condiviso chi tra i miei colleghi ha parlato di avviso di sfratto al governo. Bisogna avere sempre la capacità di interpretare il risultato e di vedere cosa ha funzionato e cosa no».

Adesso da dove deve ripartire il Pd?
«Il Pd è già ripartito. Deve fare opposizione insieme alle altre forze politiche di opposizione su tanti temi, per bloccare le riforme sciagurate che la destra sta portando avanti e proseguire sull’agenda sociale su cui stiamo costruendo un profilo netto del Partito Democratico sui temi del lavoro, il salario minimo, la battaglia sul livello dei salari in Italia, che sono oggettivamente bassi ed è una vera emergenza. La difesa della sanità pubblica.
Dobbiamo andare avanti bene su questo e il primo banco di prova saranno le elezioni regionali dove dobbiamo essere bravi a unire tutti i soggetti che vogliono costruire un’alternativa alla destra e alla Meloni».

Quindi il campo largo è la strada maestra…
«È chiaro che per fare questo bisogna essere generosi, smetterla di sventolare rendite di posizione, evitare di mettere veti e controveti del tipo “se c’è lui io non ci sono”. Così non funziona. C’è l’obiettivo più importante e più alto di mandare a casa questa destra che sta portando avanti riforme pessime, creando un clima non positivo nel paese. Abbiamo il problema di crescita della produzione industriale che è si arrestata da tempo. Il paese va rimesso in moto».

Il congresso è prematuro, ma una riflessione interna franca è necessaria?
«Penso che sia sempre importante. Tutti dicono che non vogliono un partito personale, ciò significa che deve essere plurale e quindi ci deve essere spazio di discussione, con sensibilità e punti di vista diversi. L’importante è riconoscersi, rispettarsi e poi trovare una sintesi. È importante quindi avere dei luoghi in cui fare un punto sull’esito del referendum e, in prospettiva, di come lavorare per costruire la sfida delle politiche. Poi sta alla segretaria e al presidente (Schlein e Bonaccini, ndr) del partito definire le modalità».

Un’ultima domanda “locale”. Alle amministrative nella nostra provincia, il centrosinistra ha fatto bene a Saronno e Castellanza. È tempo di ragionare sul 2027, quando si voterà a Varese e in Comuni ostici per il centrosinistra come Busto Arsizio e Gallarate, o è ancora presto?
«Varese sta facendo un grande lavoro. La giunta Galimberti ha iniziato a lavorare ormai nove anni fa e si stanno chiudendo progetti molto importanti. Quindi la testa dev’essere sulla chiusura di cantieri e iniziative. Mi concentrerei su quello, ma è giusto iniziare a porsi il tema di come tenere questo progetto allargato ai movimenti civici che hanno permesso di rappresentare Varese anche oltre il perimetro del centrosinistra e di aiutare Davide nel realizzare la rinascita di Varese. È chiaro che le vittorie di Castellanza e Saronno delle due sindache fanno sperare. Soprattutto a Saronno, al ballottaggio non eravamo messi bene, c’è stato un lavoro importantissimo e sono molto contento per Ilaria Pagani. Lo meritano lei e tutti quelli che hanno accettato una sfida non facile».

Riccardo Canetta

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