Ieri... oggi, è già domani | 09 maggio 2024, 04:00

"ma l'àn dì"" - me l'hanno riferito

Me l'hanno riferito - in una casa di ringhiera (tre famiglie), c'era una partoriente in camera da letto

"ma l'àn dì"" - me l'hanno riferito

Me l'hanno riferito - in una casa di ringhiera (tre famiglie), c'era una partoriente in camera da letto. La "levatrice - signora Elisa" indaffarata, col babbo su e giù a portare acqua bollente, panni puliti e non so che, zia Giuseppina ad "aiutare", poi grida festose, di cui non mi rendevo conto, per cosa. Donna Elisa ha in braccio un bambino che urla "sbergnòn" si sente dire (uno che piange a dirotto) e la signora Elisa a dire gioiosa "vardè s'a ghe chi" (guardate cosa c'è qui), "gne chi a ide" (venite a vedere). In cortile accorrono le donne, ci sono anche due soli uomini già pronti per recarsi al lavoro: "ul ziu Pepoèn" e "ul Giusepèn". Donna Elisa mostra il "trofeo" - perbacco, sono io - "varde che roba" e mamma scruta dentro quelle parole: "cen chili e due eti da fioeu" (cinque chili e due etti di bimbo) e si sente dire da una voce maschile "che videlen" (che vitellino) e mamma si preoccupa. Poi "l'à rutu i tramezzi" (ha distrutto ogni resistenza) e parlano di me che con irruenza ho anelato alla luce: a vedere oltre quell'antro buio dove stavo al caldo, ricevevo ogni cura del caso, ma ciò che desideravo era vivere. Mamma si era preoccupata al "gne chi a idè s'a ghe chi" e pensava fossi malandato o mostruoso, orrido, orripilante e si era rifugiata nel "l'e'l me …l'e'l me fioeu" (è il mio …è mio figlio) e quando m'ha visto lindo, pulito e pesato ha baluginato gli occhi. Avrà pensato (me l'ha mai detto) "su fèi d'insci grandi?" (come ho potuto avere in grembo un bimbo così grande?) - sia detto per inciso … la Natura fa miracoli.

Ho cominciato così a parlare in Dialetto: quel Dialetto Bustocco "nostrano" che si parlava in casa, ma pure nei luoghi di lavoro, fra la gente comune che discorreva con quel cipiglio "ruspante" che caratterizza le persone concrete; quelle di azioni, "del fare", concretamente attivi.

Prima lezione: le poppate da mamma. Mi attaccavo al suo seno prorompente che non lasciava spazio ad altri. Succhiavo latte e apprendevo. "Pierina, le'l nostar fioeu?" era il babbo a parlare "è nostro figlio?" - certo che si, ero lì con mamma, succhiavo latte da mamma, di chi altri dovevo essere? - "sbergnòn" sino a un certo punto, non sapevo come farmi intendere. Ho capito cos'era "ul tirula" (il succhiotto, il ciuccio, quando non ero attaccato alle tette) e che i maschietti avevano il "piciarlèn", mentre le femminucce "ul tài dananzi". Insomma, "pistolino e taglio davanti" per le parti intime che distinguevano "ul fioeu dàa tusa" (il maschio dalla femmina) - ho detto altre volte che c'è stato un periodo di vita, dove tutte le donna (TUTTE, lo giuro) volevano baciarmi: sino ai tre mesi, poi la "voglia" di loro, si diradava un tantino e non è che fossi così felice. Ci tengo a dire, tuttavia, che la LEZIONE di Dialetto Bustocco, continuava.  In ogni dove, ogni dialogo, ogni "scoperta" erano manifestate rigorosamente in Dialetto Bustocco e ho scoperto un altro parlare quando avevo sei anni e mi mandarono a scuola con la blusa nera e il colletto bianco. Ho sentito "strane parole" e ho fatto una fatica enorme ad apprenderle. Tanto è vero che quando non capivo, invece di chiederne il significato, "pagavo di persona": scrivevo quel che il cuore mi suggeriva e spesso, quel "cuore" mi forniva significati erronei. La maestra spesso diceva a mamma "suo figlio, non parla l'italiano, ma si esprime col dialetto tradotto". Mamma comprendeva e la Maestra …. pure. Il mio Dialetto meritava un "10 e lode", mentre il mio "obbligatorio italiano" era sul "3 andante, a volte un 5 discriminante e, per la pagella, un 6 che non nascondo, ma era  …. incentivante" - a furia di "darci dentro" ho appreso i rudimentali (obbligatori) dell'Italiano.

I due uomini che ho citato prima (e che mi conoscono dalla nascita, mi hanno sempre incentivato a "perfezionare" il mio Bustocco. Zio Pepèn col famoso "cunt'i uegi du elefanti s'à fo a cazoela" (con le orecchie dell'elefante si prepara il bottaggio) che mi valse lo scherno totale di tutta la classe - maestra compresa, da cui mi sono difeso con un perentorio "m'à la di ul me ziu Pepèn" e una volta, agli anziani si portava rispetto e loro, gli anziani, non dicevano bugie: quindi ste citu (state zitti) - "ul Giusepèn" invece era più metodico …. seguiva le mie lezioni e sosteneva "ul dì o l'oal ul to parlò l'e giustu e tuci l'àn da imparòl" (un giorno o l'altro, il tuo parlare -il Dialetto Bustocco da strada- è giusto e tutti dovranno impararlo) - "chel di sciui" (i signori) apprendevano da adulti, l'esistenza del Dialetto - loro imparavano prima l'Italiano e guai in casa, a derogare.

Giusepèn è ancora qui a testimoniare la veridicità del mio Dialetto Bustocco autentico, mentre zio Pepèn, dopo tante lezioni (i esempi) è andato a discutere in Bustocco, in cielo. Io mi rammarico soltanto che oggi, di Bustocchi "nativi e lavativi" ce ne sono (si e no) 1500 su 84.000 residenti e io, non posso tradire mamma e papà per avermi creato-Bustocco e nemmeno i miei due maestri (ziu Pepèn e Giusepèn) a cui debbo il conoscere, il sapere, la costanza di volere difendere il Bustocco.

Quando accadrà che quei 1500 si ridurranno a qualche centinaio, comprenderò che il mio tempo è finito, ma almeno il mio dovere l'ho fatto e nessuno NESSUNO potrà dire che il "mio" Dialetto era "imbastardito" dal miscuglio di italiano, milanese e parole portate qui dalle …. emigrazioni autoctone, regionali e magari pure da neologismi che col Dialetto Bustocco da strada ha nulla a che fare! La mia coscienza, vuole restare pulita (almeno qui, nel Dialetto in uso a Busto Arsizio).

Gianluigi Marcora

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