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Territorio | 04 maggio 2024, 08:35

Due anni dalla strage di Samarate

Dopo quella notte dello scorso maggio, Alessandro Maja è stato condannato prima a Busto Arsizio, poi in appello a Milano, per l’omicidio della moglie Stefania, della figlia Giulia e per il tentato omicidio del figlio Nicolò

Foto d'archivio

Foto d'archivio

Era la notte tra il 3 e il 4 maggio 2022, quando Alessandro Maja tolse la vita alla moglie Stefania Pivetta, alla figlia Giulia, tentando di fare lo stesso con il figlio Nicolò. Oggi, a distanza di due anni, l’uomo si trova in carcere, condannato all’ergastolo.

Ad allertare i soccorsi, alle prime ore dell’alba, erano state due vicine di casa che stavano uscendo per andare al lavoro: avevano sentito l’uomo urlare. Arrivati sul posto i soccorritori non avevano potuto far niente per Stefania e per Giulia, la speranza per Nicolò, invece, c’era.

Stando alla ricostruzione, l’uomo si è avventato prima sulla moglie, che stava dormendo sul divano, colpendola con un martello per poi tagliarle la gola con un coltello. Per poi dirigersi al piano superiore e avventarsi, di nuovo con il martello, sulla figlia Giulia e su Nicolò. Dall’autopsia, è risultato che la giovane ragazza avrebbe provato a difendersi dall’aggressione, mentre la mamma non si sarebbe accorta di niente.

Nicolò, invece, era riuscito a difendersi e anche a salvarsi, ma in condizioni critiche e durante il funerale della sorella e della mamma, il pensiero di tutti i presenti era stato rivolto anche a lui. E le preghiere sono state ascoltate, perché Nicolò è tornato a vivere la sua vita, con accanto i nonni materni, Giulio e Ines, che in lui hanno trovato la forza di andare avanti dopo aver perso una figlia e una nipote.

È iniziato il 27 gennaio il processo ad Alessandro Maja, che sin da subito si era dichiarato colpevole. I suoi legali avevano richiesto la perizia psichiatrica, ma era risultato capace di intendere e di volere.

Il 19 maggio 2023, era stato ascoltato l’autore della strage. Prima interrogato sulla questione economica dato che, fino a quel momento, aveva detto che aveva problemi monetari. Ma qui, è emerso che aveva solo un conto in rosso di 10mila euro, mentre gli altri ne contenevano 500mila e 189mila. Poi aveva raccontato alcuni problemi di coppia, per poi arrivare all’omicidio, ma il ricordo non era nitido: «Non mi ricordo di averle tagliato la gola». Aveva rivolto anche le sue scuse in aula: «Chiedo scusa, anche se ho commesso un reato imperdonabile». Nicolò, fuori dall’aula, aveva risposto così: «Il perdono no, ma non riesco a provare odio nei suoi confronti».

Poi, il 23 giugno, il pubblico ministero Martina Melita ha richiesto l’ergastolo per l’uomo. E Nicolò, con la foto della mamma e della sorella sulla maglietta, aveva chiesto giustizia per loro e per se stesso: «Era lucido, spero gli venga data la pena che merita».

E il 21 luglio la corte d’Assise di Busto Arsizio ha emanato il verdetto: ergastolo. Alla sentenza, però, i legali di Maja si sono appellati: il 14 febbraio, la corte d’Assise di Milano ha confermato la sentenza. Ma gli avvocati hanno deciso nuovamente di appellarsi e, il 16 aprile, hanno depositato l’impugnazione, per cui ci sarà un passaggio in Cassazione.

Una vicenda che ha colpito l’Italia intera, stretta attorno alla comunità di Samarate che oggi spera solo che Nicolò possa andare avanti con la sua vita, ottenendo l’operazione che potrebbe permettergli di tornare a viverla appieno.

Michela Scandroglio

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