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Busto Arsizio | 15 marzo 2024, 07:11

“Sun drè gni” - Sto arrivando

Siamo alle prese con un modo di dire della Parlata Bustocca che si sta trasformando. E spieghiamo subito...

“Sun drè gni” - Sto arrivando

Siamo alle prese con un modo di dire della Parlata Bustocca che si sta trasformando. E spieghiamo subito. Letteralmente, il "sun drè gni" sarebbe "sono dietro a venire"; confessiamolo, la traduzione è impura, contiene una specie di "italianizzazione" che col Dialetto Bustocco da strada ha poco da spartire.

Il "tema" l'abbiano già accennato sia nel libro "ul Giusepèn" sia nel seguente libro "Giusepèn e Maria": ora è bene ribadire un concetto preciso di come una Parlata si evolve, trascurando il lessico iniziale.

Dire "sono dietro a" a cui segue un'azione precisa, non significa essere dietro a qualcosa o a qualcuno ma è un tentativo di essere a braccetto coi tempi che lascia spazio alle interpretazioni.

Il "sono dietro a mangiare", col "sono dietro ad andare a far la spesa", oppure "sono dietro a venire" vogliono dire tutti che "sto intraprendendo un'azione subitanea", altrimenti, per un'azione svolta, si sarebbe detto "u fèi" (ho fatto", "ho intrapreso", "ho svolto" e via discorrendo.

Ecco quindi che a compiere una qualunque azione, col "sono dietro" si vuole solo significare "sto facendo" che possiede una valenza precisa; l'immediatezza.

Da qui, si può aggiungere un altro detto che manifesta inderogabilmente, il momento specifico: "a drè a man" letteralmente "dietro alla mano" che nella Parlata Bustocca è tradotto in "subito", immediatamente che ingentilisce l'azione che si sta compiendo. Come se "dietro alla mano" si mette l'azione che si deve svolgere.

Facciamo qualche esempio per chiarire ancor meglio: "te pagò 'l prestinè?" (hai pagato il fornaio?) "lu fo a drè a man" (lo faccio subito), come se "dietro alla mano" c'è l'atto del pagamento. "sei già andato a portare il bimbo all'asilo?" "sun drè menal mo" (lo sto portando ora) oppure "a drè a man" cioè... subito.

Ecco svelato il "mistero buffo" riguardante talune parole "italianizzate" che partono dal Bustocco e si infarciscono di detti enunciati in Lingua Italiana, che inducono a una precisa riflessione: quella che la Lingua Originale del Dialetto Bustocco da strada, subisce il fascino dell'obbligo (vigente allora) di parlare ESCLUSIVAMENTE in italiano e di abbandonare il Dialetto Bustocco.

La PROVA la si è avuta a Scuola. Nessuno doveva parlare il Dialetto, pena la "scomunica" che si traduceva in brutti voti, castighi e bocciature.

Giusepèn lo sa, per il fatto che lui prima di me, ha dovuto subire questo stravolgimento della Scuola a cui non si poteva derogare.

Un ESEMPIO ce l'ho sulla mia pelle: in casa mia si parlava esclusivamente il Dialetto e quando mamma chiedeva alla maestra "m'al vò un me fioeu?" (come si comporta mio figlio?), la signorina Vandoni (piemontese di Bellinzago) rispondeva candidamente: "signora Pierina, suo figlio non parla l'italiano, ma parla il Dialetto tradotto".

Cioè: pensavo in Bustocco, traducevo in italiano e... dicevo... (quanti improperi sic). Mamma allargava le braccia come a dire "noi in casa, facciamo fatica a esprimerci in Lingua Italiana... col Bustocco è più facile e ci si intende meglio, parlando il nostro Dialetto".

Per bonomia della Signorina Vandoni, il 6 in italiano, me l'ha assegnato. Forse senza merito, ma noi a casa, continuavamo a parlare (e intenderci) in Bustocco. E mi viene in mente un titolo di un film che diceva "E continuavano a chiamarlo Trinità" come il mio Dialetto Bustocco da strada che... continuiamo a tenerci il nostro idioma. Viva Busto Arsizio.

Gianluigi Marcora

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