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Sport | 25 ottobre 2022, 21:16

Il valore della sconfitta raccontato da un vincente: Riccardo Pittis a Gallarate

Uno dei cestisti più forti della sua generazione, 20 anni in serie A e innumerevoli trofei conquistati, ha raccontato vittorie e insuccessi. Con un messaggio per chi vive il fallimento, contenuto nel suo “Lasciatemi perdere”

Riccardo Pittis e Michele Riva, Biblos Mondadori di Gallarate

Riccardo Pittis e Michele Riva, Biblos Mondadori di Gallarate

Alla libreria Mondadori di Gallarate, in piazza Libertà, sono arrivati sette titoli nazionali, sei coppe Italia,  tre supercoppe italiane, due Korac, altrettante dei Campioni, una intercontinentale e una Saporta. Non si parla di trofei, ma di un fenomeno del basket che ha contribuito a conquistarli: Riccardo Pittis, 20 anni nella pallacanestro che conta, prima a Milano, poi a Treviso. E la nazionale: quasi 120 presenze.

Atleta vincente. Eppure la sua autobiografia, il libro che ha presentato, si intitola “Lasciatemi perdere”. Sport e non solo, una parabola che non contempla, vedi titolo, solo successi. Introdotto da Michele Riva, Ceo di Roi Edizioni, Pittis ha ripercorso tappe della sua carriera di cestista. Gli inizi in quella che, ai tempi, era la “Milano da bere”. «Ci fu una serie contro Caserta, andava malissimo. A un certo punto Dan Peterson guardò in panchina. Le aveva provate tutte. O metteva in campo me o il massaggiatore. Scelse me. Andai in trance agonistica…». Successi a ripetizione.

Poi Treviso, quella dei tempi d’oro, quella da cui transitavano campioni in viaggio verso la Nba. Sul libro c’è un però: «Volevo raccontare, ma non solo lo sport. Avevo questo progetto, rimasto lì anche per il Covid. Poi ho chiamato la casa editrice. Ho detto: ho il titolo. Avevo solo quello ma l’intento era chiaro, volevo parlare della possibilità di perdere. E di imparare. Se avessi scritto un libro autocelebrativo sarebbe stato inutile». Oggi Pittis è, oltre che commentatore sportivo, apprezzato speaker motivazionale, coach e consulente che collabora con prestigiose aziende. Una posizione conquistata.

 

«A 18 anni mi sentivo il “padrone del mondo”. Avrei pagato per fare quello che facevo e mi pagavano. Andavo al palazzo per vedere Meneghin e D’Antoni e all’improvviso sono diventati compagni di squadra… Un comico e un genio prestati al basket. Sono stato una spugna, da loro ho imparato mentalità, leadership, vocazione all’impegno… Ero drogato. Non da sostanze, ma da tutto quello che lo sport ti dà. Quando smetti finisci in una sorta di crisi d’astinenza. Vincere era la norma, sotto non si poteva andare. L’impatto con la sconfitta, fuori dal campo, è stato duro».

Necessità di reinventarsi, di ripartire. «Sono passato dal mondo delle “palline colorate” a quello delle “palline grigie”. Se sei stato uno sportivo, arrivi nel mercato del lavoro tradizionale più tardi, non è facile. Ho sbagliato più volte, di cazzate, scusate il termine, ne ho fatte. Ho anche provato vergogna, per me una parola chiave. Il libro è stato terapeutico. È, fra l’altro, un messaggio per le persone che si sentono sconfitte. Per quanto si possa sbagliare, non siamo sbagliati. Per quanto si possa fallire, non siamo falliti». “Lasciatemi perdere”, dunque. Che poi riparto.  

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 cover Pittis (237 kB)

Stefano Tosi

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