Alla fine ha ceduto: Emanuele Tesser, titolare dell’edicola “Il papiro”, a gennaio ha chiuso bottega. Ha gestito l’attività all’angolo tra via Larga e piazza Diaz, rione Cajello, per 24 anni insieme al fratello Andrea e, nei momenti che richiedevano un impegno extra, ai genitori. «Ma adesso – spiega – non c’è un giro tale da giustificare l’apertura. Fermarsi è stata una decisione inevitabile, anche se sofferta».
Tesser, 46 anni, oggi assunto in un’azienda del settore, fra l'altro, meccanico ed elettromeccanico, ha provato a resistere. Anche perché la sua offerta era diversificata, qualche strumento in più per affrontare le difficoltà attraversate da edicole e giornali lo aveva. «Il negozio esisteva da prima che arrivassimo noi, era passato di mano almeno un paio di volte. Aveva una tabella merceologica vasta, così l’impostazione è stata: i clienti devono entrare per comprare il giornale e trovare anche molto altro. Vendevo materiale di cancelleria, libri, dvd, biglietti del pullman, pelletteria, giocattoli… Ha funzionato a lungo. Nel 2007, sotto Natale, lì abbiamo dovuto lavorare in cinque, non ci si poteva muovere. Quando ho iniziato, in negozio arrivavo alle 5.30 e affrontavo una lunga giornata. Negli ultimi tempi, aprivo alle 8 con una sorta di orario part-time».
Inesorabile la concorrenza dell’on-line abbinata alla crisi del cartaceo. «Sapevo che il negozio avrebbe sofferto – prosegue Tesser – basti pensare che la rivista “Azienda edicola” già nel 2012 pronosticava che nel 2020 le attività come la mia, o simili, sarebbero andate a terminare. Non è stato così per tutti ma tanti hanno chiuso ben prima. Fra gli errori maggiori, la possibilità di vendere i giornali concessa ai supermercati. Ai tempi, la cosa che mi faceva più rabbia era vedere certi comportamenti nel fare la spesa: moglie a riempire il carrello e marito a sfogliare il giornale, che poi metteva giù».
Infine il Covid. «Avevo una clientela con un’età media alta, molti anziani. Gli affari erano in calo da anni quando è arrivato il Coronavirus e si è portato via tante persone, anche a Cajello. Sono andato a trovarle al cimitero una dopo l’altra. Mentre i giovani, come noto, se leggono preferiscono cercare sul web».
Il nuovo impiego da lavoratore dipendente addolcisce la pillola. Ma l'amaro in bocca resta, anche perché “Il papiro” era un luogo in cui fermarsi a scambiare qualche parola, raccontarsi quello che i giornali non dicono e confrontarsi su quello che scrivono, aggiornarsi sulla vita del rione. «Ora andare nel negozio chiuso, o anche solo nel rione, mi pesa. Io a Cajello tengo. Ci ho anche abitato, fino a dieci anni fa. Con la gente c’è sempre stato un buon rapporto, mi sono sentito rispettato. Oggi, però, tra cessazioni delle attività e trasferimenti, lì c’è il deserto. Peccato».
Alla domanda se qualcuno si sia fatto vivo, per un saluto o un in bocca al lupo, la risposta, un po’ sorprendente, è no: «Nell’ultimo periodo avevo informato i clienti, ci siamo detti tutto prima della chiusura. E francamente, considero quello dell’edicola un capitolo chiuso, bisogna guardare avanti. Ho resettato».
Sipario. Con un’ultima “coccola” ai frequentatori più assidui: «Da me si rifornivano tanti appassionati di collezioni tematiche: montagna, musei, musica classica, pittura... A loro ho indicato dove trovare ancora le pubblicazioni. E a tutti dico: si spera di rivedersi».