Un comparto in sofferenza che perde fatturato, imprese e addetti ma prova a rialzare la testa sfruttando l’onda dell’export e puntando su innovazione, sostenibilità e capitale umano. È questa la fotografia del settore abbigliamento, tessile, pelle e calzature in provincia di Varese scattata dall’Osservatorio Mpi di Confartigianato Lombardia a 17 mesi dall’inizio della pandemia che ha messo in ginocchio l’economia nazionale penalizzando in particolare le imprese della moda, colpite dal freno tirato del mercato interno e da un rallentamento importante di quello estero.
Una fotografia che non può che generare riflessioni su un territorio – quello del distretto gallaratese dell’abbigliamento – che del tessile ha sempre fatto un punto di forza ma che, negli anni, ha visto progressivamente assottigliarsi lo zoccolo duro delle tante piccole e medie imprese che ne hanno fatto la fortuna. Oggi in provincia di Varese sono 1.266 le micro-piccole realtà del settore, pari al 92,7% delle imprese totali che gravitano attorno al comparto. 722 sono quelle artigiane, il 55,4% del totale. Male il bilancio decennale (2009-2019), con 793 aziende in meno, pari a un calo in termini percentuali del 26,4%, ampiamente superiore al trend di Regione Lombardia (-19,8%), dove operano in tutto 9.182 aziende (il 96,9% delle quali di micro e piccole dimensioni). Frenano anche le startup che, dal 2019 al 2020, passano da 50 a 31.
«I numeri sono negativi ma non dicono tutto - ha commentato il presidente di Confartigianato Varese Davide Galli - ci sono state chiusure ma occorre analizzare tutto il contesto». Le aziende del settore nel Varesotto lavorano principalmente nell'ambito della subfornitura. «Stiamo registrando una certa vivacità delle nuove imprese, non solo startup, che puntano molto sull'innovazione e questo dà fiducia - ha proseguito Galli - le grandi firme cercano la qualità e l'eccellenza che le nostre piccole imprese sanno offrire».
Bisogna trovare un nuovo modo di fare impresa, i cui pilastri devono essere due, la digitalizzazione e la sostenibilità. «Bisogna portare in azienda nuove professionalità - ha osservato il presidente di Confartigianato - che ad esempio si occupino di e-commerce vista la necessità di avere un mercato più ampio. Nuove figure che vanno formate nelle università e negli Its che vanno potenziati. Un altro elemento da implementare è quello dell'apprendistato». E poi c'è la sostenibilità. «Visto che per dirla con una battuta siamo il Paese dei bonus, non sarebbe male introdurre delle detassazioni fiscali in questo ambito».
E dall’export arrivano in effetti i segnali più incoraggianti per Varese, provincia che contribuisce per il 7% dell’export lombardo di prodotti moda nel mondo. Rispetto al primo trimestre pre pandemia (2019) la domanda di abiti, tessuti, scarpe e altri prodotti in pelle ha certo subito nei primi tre mesi dell’anno in corso una riduzione del 7,5%, inferiore ai 12,9 punti percentuali lasciati sul terreno a livello regionale. Rispetto al primo trimestre 2020 (comprensivo di marzo 2020, mese di inizio pandemia), invece, il trend risulta positivo (+4,3%), a conferma che, seppur non siano stati recuperati i livelli pre-Covid, sia in atto un percorso di recupero.
Un recupero tuttavia ancora insufficiente a compensare la preoccupante caduta di attività determinata dalla pandemia: nei primi quattro mesi del 2021 nella moda si registra un livello della produzione inferiore del 25,6% rispetto al primo quadrimestre del 2019, a fronte di un divario negativo dell’1,3% per il totale della manifattura, con 13 comparti su 24 che registrano un livello della produzione nei primi quattro mesi del 2021 superiore a quello del primo quadrimestre del 2019.
Il presidente di Confartigianato Varese invita a guardare ai dati nel loro complesso. «Dispiace ma non scandalizza il calo del numero delle imprese e degli addetti del settore che è il frutto delle dolorose conseguenze dovute al cambiamento epocale che stiamo vivendo - ha dichiarato Galli - questo non toglie nulla al rinnovamento e all'innovazione che stiamo registrando e che porterà a risultati positivi per il made in Italy. Quello che è davvero negativo è la perdita di competenze specifiche nella filiera che vanno recuperate».