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Busto Arsizio | 26 maggio 2021, 08:10

Maria Chiara sceglie la clausura a 33 anni: «La vocazione ti capita, non lo decidi tu»

Non è una fuga, ribadisce la giovane bustocca, divenuta suor Maria Rita: «Ho scoperto le monache di Vitorchiano nel 2011 per andare a studiare. Mi ha colpito la loro libertà. La serenità viene da una pace profonda nel riconoscere che il nostro posto è questo»

Maria Chiara sceglie la clausura a 33 anni: «La vocazione ti capita, non lo decidi tu»

Cosa spinge una ragazza giovane a chiudersi in un monastero per tutta la vita? Maria Chiara Castiglioni, bustocca classe 1988, domenica è entrata ufficialmente nell’Ordine Cistercense della Stretta Osservanza, emettendo i voti solenni nel monastero Trappista di Vitorchiano, provincia di Viterbo.

Suor Maria Rita, questo il suo nuovo nome, ha scelto di consacrarsi a Dio definitivamente in una vita semplice e povera, dopo aver passato 7 anni all’interno della comunità composta da 70 religiose di ogni età e provenienza (tra loro anche suor Cinzia Gallazzi, anche lei di Busto). La parola clausura può spaventare, tanto più dopo questo difficile anno di pandemia che ci ha visti tutti, appunto, a tratti chiusi in casa per evitare il contagio. Ma a Vitorchiano la clausura non ha assolutamente il sapore del ritiro, del rifiuto del mondo, della paura. Tutto il contrario.

Non è stata una fuga quella di Chiara, che fuori aveva una vita bella e intensissima tra famiglia, tante amicizie, l’università a Milano, la passione per i viaggi, un promettente posto di lavoro nell’ambito dei servizi sociali.

E allora, perché Vitorchiano?

Ci sono capitata per la prima volta nel 2011, con le amiche: cercavamo un posto tranquillo dove studiare insieme, una di noi aveva una zia monaca di clausura. Abbiamo passato qualche giorno nella foresteria del monastero: più tranquillo di così…

Come è maturata la tua decisione di entrare in monastero?

Da subito mi hanno colpito le monache che ho conosciuto: erano molto accoglienti, avevano una semplicità, una libertà che le rendeva se stesse e felici. Tornando a casa avevo come l’intuizione di aver incontrato qualcosa di molto bello. Mi è stato proposto un periodo di preghiera e lavoro insieme a loro, una sorta di “prova”, poi ho trascorso un anno come postulante, due anni di noviziato seguiti da tre anni di professione temporanea. È stato un percorso di continua verifica fino al dono grandissimo della professione solenne.

Come si svolge la vostra giornata?

Seguiamo la Regola di San Benedetto, il tempo è scandito dalla preghiera, dallo studio e dal lavoro: sette volte al giorno ci rechiamo in Chiesa per recitare l’Ufficio, mentre il resto della giornata si alterna tra meditazione della Parola di Dio (detta Lectio), lavoro e riposo.

Che lavoro fate?

Ci occupiamo della nostra campagna e dell’orto, della produzione di marmellate, vino e olio, della piccola tipografia e delle necessità del monastero. Ognuna ha il proprio compito, dalla cucina alle pulizie, dall’infermeria all’accoglienza degli ospiti in foresteria.

Quello che colpisce in chi vi incontra è il vostro sorriso: da dove nasce?

Non è che ci sia proprio sempre il sorriso, abbiamo i nostri momenti come tutti. La serenità però è data da una certezza e da una pace profonda nel riconoscere che il nostro posto è questo, che sei chiamata qui, amata qui, con le sorelle nella comunità puoi conoscere di più il Signore. La nostra è una vita bella.

Come sono cambiati i tuoi rapporti con chi è fuori?

In realtà si sono approfonditi. Quando si prende sul serio la propria vocazione, anche se in forme diverse, ci si ritrova a confrontarsi sul succo della vita: mi succede per esempio con tante amiche che adesso hanno famiglia e figli. Le amicizie diventano più essenziali, non si perdono anche se ci si vede poco, e ne nascono di nuove anche in modo inaspettato. I rapporti veri non si cancellano, vanno a indebolirsi quelli che erano solo di “compagnoneria”. Per il resto, siamo sempre aggiornate su quello che succede nel mondo attraverso i giornali e i contatti con le nostre fondazioni all’estero, oltre ai tanti amici che ci scrivono e vengono a trovarci: preghiamo tanto per le situazioni di bisogno. Il nostro è un modo diverso di stare nel mondo.

Quante giovani come te fanno questa scelta?

Negli ultimi anni tante. Ci sono sempre numerose novizie e postulanti e solo quest’anno abbiamo già avuto cinque professioni solenni. La nostra comunità gode di una ricchezza di vocazioni, tanto che Vitorchiano ha appena dato vita ad una nuova filiazione, il monastero di Santa Maria Mãe da Igreja a Palaçoulo, in Portogallo. È la nostra ottava fondazione nel mondo, dopo Argentina, Cile, Venezuela, Indonesia, Filippine, Repubblica Ceca e l’italiana Valserena. Vi si sono trasferite 10 sorelle (tra cui la bustese suor Lucia Villarosa, ndr).

Perché proprio la clausura? Qual è il significato della vostra vocazione?

La vocazione ti capita, non lo decidi tu, non scegli tu in che forma seguire il Signore. Come non si sceglie di chi innamorarsi. Il monaco ha il compito di additare a tutti il senso della vita: Dio. In un mondo in cui l’uomo è ridotto a ciò che sa fare, il monaco afferma che il valore dell’uomo è altro: l’amore di Dio per noi. In un mondo in cui le persone si perdono dietro mille dèi (il denaro, il successo, la carriera, il piacere…) e si disperano perché sembra non esistere qualcosa che risponda al desiderio di amore e di significato che ogni uomo ha, il monaco dice, con la sua semplice esistenza, che Dio solo può rispondere al desiderio più profondo: amare ed essere amato. 

 

Irene Canziani

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