Il grido d’allarme del Barbaresco, che non esclude di abbassare la serranda degli storici locali di Legnano e Gallarate, comunque travolto dall'affetto dei clienti (leggi qui). La chiusura del Melograno, punto di riferimento degli amanti del tango, a Busto Arsizio prima, a Castellanza poi (leggi qui).
Locali e pub del territorio sono sulla stessa barca e navigano in acque agitatissime. Sperando di vedere presto la terra all’orizzonte.
Qui Poppinjay - «Invece di andare avanti, torniamo indietro»
Sono trascorsi undici mesi da quando il Poppinjay partecipò al primo flash mob organizzato per “rendere visibili” agli occhi del governo le difficoltà della categoria. Luci accese e saracinesca alzata, ma i clienti – anche allora – nel pub di via Palestro non potevano entrare.
«Ancora oggi non abbiamo nessuna certezza sulle regole, che cambiano in continuazione – osserva Giuseppe Cataldi –. Si è fatto un gran casino per cambiare il governo, ma anziché andare avanti mi sembra di tornare indietro. A distanza di un anno, non avrei mai immaginato che ci saremmo ritrovati in questa condizione».
La situazione è critica, ma Cataldi sa che ci sono colleghi ancora più in difficoltà: «Noi ci salviamo perché abbiamo una gestione familiare e non dobbiamo fare i conti con l’affitto. Quando ci sarà la ripartenza, temo che avremo perso molte realtà di questo settore».
Il Poppinjay è attivo con l’asporto: «Diamo un servizio ai clienti più affezionati, ma è davvero poco – racconta il titolare –. Ci ha anche contattato una piattaforma di delivery, ma per non rimetterci avremmo dovuto aumentare il prezzo dei panini, quindi abbiamo declinato l’offerta».
I ristori, come ripetono all’unisono i ristoratori a tutti i livelli, non bastano: «Sono una mancia, se pensate che solo per l’abbonamento della televisione, ovviamente inutilizzata, mi è appena arrivata una bolletta da 407 euro. Da novembre non metto un centesimo sul mio conto personale. È una beffa, se penso agli assembramenti che ho visto in centro. Il nostro locale ha una capienza di 110 persone, compresa la parte esterna. L’avevamo ridotta a cinquanta, ma ci hanno fatto chiudere ancora».
Qui Millenium – Al fianco dei dipendenti: «Sono la nostra ricchezza»
«La nostra categoria è tra le più colpite, insieme a turismo, cultura, palestre e discoteche. Mi auguro che, una volta finita la pandemia, sarà una delle più frequentate». È l’auspicio di Marcello Ardito, titolare del Millenium di via San Michele.
Il proprietario del pub non intende polemizzare con chi è chiamato a decidere regole e restrizioni: «Sono discussioni che hanno un valore, ma di fatto sterili – dice –. C’è poco da fare; voglio essere ottimista e sperare che il nuovo governo, ma in generale tutta l’Europa, lavori velocemente per trovare soluzioni efficaci».
Il locale ha puntato sull’asporto solo nella fase iniziale della pandemia: «Il nostro focus non è portare un panino o una birra a casa. Il nostro lavoro si basa su ospitalità, sorrisi, aggregazione, socializzazione, spensieratezza. Noi regaliamo un’esperienza, e questa non può arrivare col fattorino. Affidarsi all’asporto con piattaforme esterne rischia di diventare una guerra tra poveri. Nulla contro chi lo fa, ma noi ci chiamiamo fuori».
Sono trenta i dipendenti del Millenium: «Una decina è con noi da 15 anni – rivela Ardito –. Stiamo anticipando la cassa integrazione, che altrimenti arriverebbe dopo mesi. Non possiamo abbandonare la nostra ricchezza, vale a dire i nostri collaboratori. Continueremo a farlo fino alla riapertura, che spero arrivi presto. Il lockdown dello scorso anno è durato troppo a lungo. Rimanere chiusi, escludendo l’anticipo della cassa integrazione, ci costa 10mila euro al mese».
Qui Ovidius – «Speriamo nei vaccini e nella bella stagione»
Fermi, aspettando «a braccia conserte» tempi migliori. Questa la situazione all’Ovidius di via Gaeta, come racconta Mario Azzimonti.
«Abbiamo lavorato tre settimane fino alle 18, incassando il 10 per cento di quello che guadagnavamo in precedenza. I primi sussidi sono arrivati, ma stiamo aspettando gli altri, che serviranno giusto per pagare l’affitto».
Anche per l’Ovidius l’asporto non è una via percorribile: «Non funzionerebbe – spiega Azzimonti –. Non siamo una pizzeria o un ristorante giapponese. Il nostro punto forte sono le birre. Ne abbiamo di tanti tipi e di qualità, portarle a domicilio in un bicchiere di plastica vorrebbe dire sminuirle».
Il vero problema, come per tutta la categoria, è non poter lavorare la sera: «Non siamo un locale diurno. A mezzogiorno abbiamo dai tre ai sette coperti. Il lavoro grosso inizia dopo le 18. Speriamo si diano una mossa coi vaccini e che con la bella stagione le cose migliorino. I mesi estivi dello scorso anno sono stati fondamentali e ci hanno permesso di limitare i danni e perdere “solo” il 50 per cento. Mi auguro che potremo rimanere aperti fino alle 22 o alle 23. Senza contare che, dal mio punto di vista, pub e ristoranti sono più sicuri rispetto ad altri luoghi».