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Attualità | 21 febbraio 2021, 08:30

Un anno di battaglia contro il Covid all'Asst Valle Olona: «Le varianti? Mi preoccupa di più la stanchezza della gente»

L'INTERVISTA. Il direttore generale Eugenio Porfido ripercorre questi mesi dolorosi: passarono solo pochi giorni dal caso di Codogno al primo di Busto. Oggi ancora più di cento ricoverati: «Abbiamo imparato la flessibilità, potenzieremo il pronto soccorso e abbiamo fatto la nostra parte sull'ospedale unico»

Il direttore generale dell'Asst Valle Olona Eugenio Porfido, nel suo ufficio a Busto Arsizio

Il direttore generale dell'Asst Valle Olona Eugenio Porfido, nel suo ufficio a Busto Arsizio

Non vincono i ricordi più bui, mentre il direttore generale dell’Asst Valle Olona Eugenio Porfido ripercorre quest’anno di pandemia. Questa settimana ci sono ancora più di cento pazienti ricoverati, la sua preoccupazione – più che le varianti del virus – riguarda la stanchezza della gente.

Ma si è accesa in questi giorni la luce importante della vaccinazione. (LEGGI QUI) «Uno degli strumenti – premette il dottor Porfido - Ridurrà sensibilmente l’aggressività, non esclude la malattia e non è l’unica soluzione, perché c’è anche una parte terapeutica su cui ancora non abbiamo farmaci specifici. La ricerca scientifica procede però con passi importanti».

Cosa si è imparato

Anche dietro questa operazione di speranza, la differenza la fanno le persone. Le storie, le confidenze, i commenti degli ultraottantenni che si stanno sottoponendo alla vaccinazione, e il rapporto che si crea con gli operatori: in poche parole, il senso di comunità.

È stata una lezione dolorosa, troppo dolorosa, ma si è imparato molto dal Covid. Si è diventati più flessibili, anche la progettazione del futuro ospedale unico di Busto e Gallarate (che non è scomparso dagli schermi, l’azienda ha fatto la sua parte e sta aspettando cenni dagli altri soggetti) è stata rivista in questo senso.

Un anno fa, si innescava la pandemia: dal caso di Codogno al primo in provincia di Varese, proprio a Busto Arsizio, passano sette giorni scarsi.

Il primo medico che cade per il Covid è bustocco, il dottor Roberto Stella. Una scossa per tutti.

«Dalla partenza della pandemia abbiamo subito ragionato in un ipotesi di scenario gravescente, ovvero di costante peggioramento – ricorda il dottor Porfido - Così abbiamo costruito un piano che riconverte i vari settori dell’ospedale all’avanzare del Covid, garantendo una razionalizzazione dei posti di letto e il mantenimento dell’attività non strettamente legata al virus per quanto possibile. Abbiamo definito delle raccomandazioni a cui sono associate procedure e attività operative, con una mappatura dei responsabili. Questo è il metodo che abbiamo utilizzato, anche per il ripristino e di apertura dei letti no Covid». Come un nastro che si riavvolgeva all’incontrario, è l’immagine che usa il direttore.

Pronto soccorso cruciale

Attualmente ci sono 114 pazienti, di cui cinque in ventilazione assistita. Il personale? «Le aree di criticità permangono e sono sempre relative agli stessi settori: anestesia, rianimazione e medicina e chirurgia d’urgenza per il pronto soccorso e pediatria – risponde Porfido - Sugli altri abbiamo copertura e abbiamo concluso il concorso per infermieri, anticipando anche il turnover di quest’anno. Il problema è legato al numero di specialisti che vengono formati e acuito con l’aumentare dell’età media del personale medico».

Intanto si guarda avanti, diverse le progettazioni in corso, ma si sta ragionando principalmente sul pronto soccorso. «Sia sugli accessi Covid, sia no Covid – osserva il direttore generale - in parte sono in corso lavori qua a Busto, già programmati prima. Il piano dove c’era l’ex cardiologia diventa tutta area di espansione del pronto soccorso, così come stiamo pensando per Saronno.  Questo perché le aree erano state dimensionate in epoche lontane, con numeri di accessi diversi e ovviamente senza la pandemia».

Ma tutto questo fermento non significa che l’ospedale unico sia tramontato: «Noi abbiamo fatto il nostro, mancava il documento preliminare e l’abbiamo completato nel giro di qualche mese e presentato alla Regione, poi rivisto sulla base dell’esperienza Covid, aggiungendo aspetti progettuali  importanti».

C’è da definire l’accordo di programma, che mette insieme i soggetti: oltre all’azienda, Regione, Ministero, Comuni interessati: «Siamo pronti a ripartire, quando c’è la volontà da parte degli altri soggetti».

Serve davvero, questo ospedale? Il dottor Porfido ricorda che già si era ipotizzata la logica di due ospedali separati, uno a degenza continua e uno diurno per l’attività di day hospital e surgery, collegati da una piastra di servizi: «Nella nuova versione di post Covid abbiamo messo una serie di accortezze come l’apertura delle porte con fotocellule o con spinta, per limitare i contatti e un reparto aggiuntivo – chiamato polmone – per potenziare l’attività ma anche da usare in caso di lavori». Si è prevista l’intercambiabilità, i due ospedali sono cioè mutuabili e c’è la possibilità di aumentare i posti letto per l’emergenza in alcune aree. È l’importanza della flessibilità, ancora.

«Fermo restando la logica di un ospedale aperto, che si inserisce nel tessuto cittadino, attento alle fonti rinnovabili e con ampi spazi di verde e un’area dedicata alla necessità dei familiari – prosegue - Il mio vecchio sogno è poi uscire dalla logica del pasto a letto e creare un ristorante, che possa essere utilizzato sia dai dipendenti sia da soggetti esterni».

La stanchezza e le soluzioni

Ma se si vede così il futuro, rimane inquieto il presente: «Vedo la gente stanca. La preoccupazione non riguarda solo l’epidemia, ma il vivere quotidiano e le difficoltà economiche, la tenuta della struttura sociale. Dobbiamo riuscire noi per primi a dare sicurezza e fare ascolto nel confronto dei cittadini. Perché dobbiamo sempre ricordarci che ci occupiamo di sanità, ma siamo anche soggetti pubblici e abbiamo anche un compito istituzionale, il cittadino ci guarda: abbiamo la responsabilità di dargli sicurezza e certezza della risposta».

Allora si guarda avanti, ai progetti ma anche ai volti che si affacciano in questi giorni al padiglione Pozzi. Diventa un simbolo l’anziana che voleva vaccinarsi solo dopo che fosse toccato ai medici e solo dopo le rassicurazioni sul fatto che ciò era già avvenuto, ha accettato: «Questo significa solidarietà. Se abbiamo senso comune, stiamo insieme. Non può essere solo la tecnica ad aiutarci». 

Marilena Lualdi

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