Si è trasformata in un fiume di ricordi drammatici e di accuse la nuova udienza in Corte d’Assise al Tribunale di Varese per il tentato omicidio di Lavinia Limido e l'omicidio del padre di lei, Fabio Limido. Davanti ai giudici la parte lesa ha ripercorso le tappe che hanno preceduto l’aggressione del 6 maggio 2024 in via Menotti a Varese, attribuendo a Marco Manfrinati un crescendo di persecuzioni e minacce: «Ucciderò te, tua madre, mia madre e il bambino», avrebbe detto l’imputato in una delle telefonate intercettate.
In apertura, l’avvocato di parte civile Fabio Ambrosetti ha chiesto che venga acquisito integralmente il fascicolo del procedimento per stalking a carico di Manfrinati, sostenendo che l’omicidio sia la prosecuzione di una lunga sequenza persecutoria.
La testimonianza di Lavinia Limido
Al banco dei testimoni, Lavinia Limido ha ricostruito gli anni di convivenza con l’imputato: dal matrimonio nel 2017, alla nascita del figlio nel 2020, fino al progressivo deterioramento del rapporto. «Diceva che non ero una buona madre, una buona moglie», ha riferito, ricordando episodi di violenza psicologica, insulti e il controllo ossessivo sulle spese familiari, rendicontate voce per voce.
La donna ha raccontato la fuga del 2 luglio 2022, quando uscì di casa con il figlio fingendo una passeggiata per poi rifugiarsi da un’amica avvocato ad Appiano Gentile. Seguirono la misura cautelare di divieto di avvicinamento, successivamente revocata, e il deposito della separazione a dicembre dello stesso anno.
Nei mesi successivi le minacce si intensificarono: il 13 giugno 2023 una telefonata in cui Manfrinati avrebbe annunciato l’intenzione di «ammazzarla con un martello» (poi rinvenuto in auto al momento del fermo); il giorno seguente, un nuovo audio: «Sono il messaggero della morte mandato da Dio». L’imputato alternava riferimenti religiosi a toni apocalittici, definendosi «l’unto da Dio» o «il messaggero di Allah».
Il racconto della Limido si è concentrato sull’aggressione del 6 maggio 2024: «Mi ha puntato un coltello e ha iniziato a colpirmi freddo, senza dire niente», ha detto, descrivendo la serie di fendenti alla testa e al collo. «Ero consapevole che quel momento sarebbe arrivato, ero pronta a morire». Il padre Fabio intervenne armato di una mazza da golf, mentre il quartiere fu scosso dalle urla di aiuto. «Avevo paura, tutti noi sapevamo che sarebbe successo», ha concluso, scoppiando in lacrime. L'uomo morì in seguito alle ferite riportate.
La deposizione di Marta Criscuolo
A seguire ha deposto Marta Criscuolo, madre di Lavinia, che ha ricordato il momento dell’omicidio del marito Fabio Limido: «Ho visto Manfrinati in ginocchio che sorridendo mi ha detto: avete visto cosa succede a non darmi mio figlio? Come sta tuo marito? Vai a vedere…ho fatto una mattanza». La donna, portata poi in ospedale, apprese dal medico che la figlia era in rianimazione e che il marito non era sopravvissuto. Secondo la Criscuolo, l’imputato era «un narcisista, geloso e invidioso», convinto di possedere moglie e figlio. Ha raccontato le continue minacce, insulti a sfondo razzista e sessista, e perfino una cartolina inviata dal carcere in cui avrebbe sbeffeggiato la morte del marito.
Durante l’esame del pubblico ministero la testimone ha definito Manfrinati «assassino», venendo richiamata dal presidente della Corte al rispetto della presunzione di innocenza. Da quel momento ha scelto di rivolgersi a lui solo come «l’imputato», senza mai nominarlo direttamente.
Interrogata dalla difesa, la donna ha descritto la personalità dell’ex genero come «Dr. Jekyll e Mr. Hyde», capace di celare la propria aggressività dietro l’immagine professionale di avvocato. Ha accusato anche la famiglia dell’imputato complice di averlo sempre giustificato, «senza mai responsabilizzarlo né porgere condoglianze» dopo i fatti.
Le prossime tappe
La deposizione ha messo in luce anche un dettaglio rivelato dall’avvocato Ambrosetti: la fuga di Lavinia con il figlio era stata programmata per il 6 luglio 2022, ma la donna decise di anticiparla per timore di nuove violenze. Domani di nuovo in aula.
















