E' una di quelle frasi che a tradurle, non si segue il filo logico delle parole - con "a disu mò, là" si pone fine a una specie di "litigio verbale", perentorio che dovrebbe destare stupore - col senso stretto del valore gergale, si può arrivare a dire "stiamo scherzando?", mentre letteralmente ci sta "che dico ora, suvvia?" - Giusepèn, annuisce e mette in pista un'altra frase di questo genere: "suguta non a menòla" (non continuare con questa solfa), per dire che in un dialogo stretto (un po' concitato) chi tarda a comprendere il valore del discorso, continua a sbagliare col suo modo di agire. Ed è qui che si inserisce il "suguta non a menòla" con un significato spiccio sul "menòla" che ha il sapore della ripetizione a oltranza.
Nel Dialetto Bustocco da strada, ci sono frasi "colorite" che offrono chiarezza al discorso. E non sempre, queste frasi, vanno tradotte letteralmente. Ce n'è una poi che da ragazzo, mamma mi ripeteva ogni qualvolta (purtroppo spesso) ne combinavo "una delle mie" (marachelle): "sa t'à ciapu, t'à mazzu" - letteralmente, "se ti acchiappo, ti uccido" che ovviamente non era un'istigazione all'omicidio e nemmeno una …. minaccia a mano armata. Era semplicemente una maniera colorita che evidenziava la gravità della marachella che non meritava la "pena di morte", ma era per far capire al "mariolo" di "fa cò" (fai testa, ragiona), al fine di una …. correzione di stile.
Ne aggiungo un altro di "detto" per stabilire il "grado di intelligenza" che avevo allora. Di fronte a mamma che urlava, al mio indirizzo, io scappavo - mamma mi tallonava, ma non riusciva ad acchiapparmi - e che faceva, allora? - mi ammoniva dicendo "tanti passi in pù c'à te me fe fò, in tanti sberli c'à ta do" (tanti passi in più che mi fai fare, sono altrettante sberle che ti meriti e che ti darò) - io, calcolo alla mano, velocissimo, smettevo di fuggire e con l'aria contrita, ritornavo sui miei passi - la mamma era lì pronta a "strizzarmi i riccioli", brandiva la mano libera, a mò di clava, ma …. si inteneriva e, a fronte della "minaccia a braccio armato", sbolliva l'ira, piantandomi addosso quegli occhi neri-corvini (come la brace accesa) e …. non mi picchiava. Chi assisteva alla "scenetta" a volte commentava: "Pierina, a te disì … a t'à mazzu, poeu ….te ghe fe naguta" (dici …. ti uccido, poi, gli fai nulla) e di rimando, mamma …. "dèm l'e non un mateozzu da bòti" (suvvia, non è un materasso da battere) ed io ero …. salvo!
Per dire che il Dialetto Bustocco da strada, usa sovente le . iperboli, parole grosse, usate davvero, erano prove gravissime di violenza, ma …. erano solo parole (le nostre, solo parole - copiate da una canzone di Noemi) - questo Dialetto Bustocco "colorito" non veniva certamente usato dalle case "perbene", quelle in cui si discorreva in italiano (quale?), si parlava forbito, si educavano i figli ad essere puliti, come un cencio lavato, con le mani che profumavano, le ginocchia senza croste, i pantaloni senza rammendi, i quaderni e i libri, senza "orecchie", il sussiego sempre a portata di mano. Ecco il motivo per il quale si scrive Dialetto Bustocco "da strada", per chiarire una buona volta che la gente "di ringhiera", del mondo operaio, dei pochi studi e della poca esperienza,si "inventava" la parlata - e, con essa, il rigore del rispetto, la conoscenza della "certezza della pena", il senso pratico da utilizzare sempre, il valore dei …. valori morali, senza sotterfugi.
A Giusepèn, garba questo gesto di umiltà …. anche per il fatto che a non essere umile, ci si sentiva dire "ti ohuì vula bassu" (ehilà, abbassa le ali) - anche perché il "vula bassu" significa "vola a bassa quota", anche se di ali, non se ne parla.
Per chiudere il discorso, Giusepèn mi "sghisisce" (mi guarda di sottecchi) e, vedendomi con in mano la bottiglia del Nocino, dice "damàn un gutu" (dammene un goccio), ma ovviamente, non ci si deve attenere alla quantità esatta della richiesta. Quindi, "a lassàl voei" (a lasciarlo vuoto - il bicchiere) che equivale a dire, "beviamo, cic cin, salute" - amo il mio Dialetto "ruspante" e originale, per nulla "sporcato" con vocaboli italianizzati, italianizzanti o saturi di altri modi di dire che, col Dialetto Bustocco da strada, hanno nulla a che vedere! "chi ga nassi cuadratu, al moi non, tondu" (chi nasce quadrato, non muore rotondo) che significa pure, "se in casa ti insegnano il Dialetto sin …. dall'allattamento, non puoi imparare il Dialetto a 30 anni, quando prima ti hanno insegnato, l'italiano!" - purtroppo, siamo in pochi, Giusepèn"a parlò ul dialetu spatasciò" (a parlare il dialetto indigeno). (AMEN).