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Politica | 21 novembre 2024, 15:30

Il Manifesto di una Nazione: la vittoria di Trump e la crisi delle ideologie occidentali

La rielezione di Donald Trump segna un momento cruciale per la politica statunitense e internazionale. Mauro della Porta Raffo, presidente onorario della Fondazione Italia USA e profondo conoscitore della storia americana, analizza i fattori che hanno portato al trionfo del tycoon, tra strategie elettorali, contraddizioni culturali e un richiamo al concetto di frontiera come rinnovamento

Il Manifesto di una Nazione: la vittoria di Trump e la crisi delle ideologie occidentali

La rielezione di Donald Trump segna un momento cruciale per la politica statunitense e internazionale. Mauro della Porta Raffo, presidente onorario della Fondazione Italia USA e profondo conoscitore della storia americana, analizza i fattori che hanno portato al trionfo del tycoon, tra strategie elettorali, contraddizioni culturali e un richiamo al concetto di frontiera come rinnovamento.

Con un approccio critico, della Porta Raffo riflette anche sul fallimento della narrazione femminista intorno a Kamala Harris e sulla straordinarietà di elezioni che hanno sfidato precedenti storici. 
Nell’epoca delle grandi crisi globali, Trump rappresenta una nuova frontiera per un’America che cerca di ridefinire il suo ruolo nel mondo.

Come osservato da Mauro della Porta Raffo, la vittoria di Trump era percepibile da chi osservava attentamente l’atmosfera politica. «Il vento era nelle sue vele», spiega, indicando che, come ha più volte detto e scritto specie negli ultimi tempi, al di là dei sondaggi spesso orientati politicamente, il sentimento popolare negli Stati chiave puntava verso un ritorno alle politiche identitarie e protezionistiche di Trump.

Questo “ritorno” richiama l’antico concetto americano della frontiera, come analizzato da Frederic Jackson Turner. La frontiera non è solo un limite fisico, ma una promessa di rinnovamento e avventura. La vittoria di Trump simboleggia un’America che rifiuta di adattarsi ai mutamenti globali e si riposiziona come nazione guida, nonostante il crescente scetticismo internazionale verso l’eccezionalismo americano.

Femminismo e divisioni: il caso Harris

Un tema cruciale è stato il fallimento del messaggio femminista promosso dai democratici intorno alla figura di Kamala Harris. L’errore di chi sosteneva la Harris, spiega della Porta Raffo, è stato insistere sul fatto che le donne dovessero votarla perché donna.

Questo approccio ha finito per generare divisioni non solo tra uomini e donne, ma anche all’interno dello stesso elettorato femminile democratico.  Molte, infatti, hanno rifiutato l’idea di votare una candidata solo per questioni di genere, valutandola invece in base alle idee e alle politiche che rappresentava.
L’esperto varesino sottolinea come questa narrazione, pur pensata per unire, abbia alienato una parte delle sostenitrici democratiche, creando una frattura nel movimento femminista che ha mostrato il suo volto più pragmatico e meno ideologico: l’uguaglianza non è un privilegio automatico, ma deve essere accompagnata da competenza e credibilità politica.

Il fardello dell’uomo bianco e la crisi democratica

Aleggia e si collega a tutto questo il tema più ampio del fardello dell’uomo bianco: un concetto addirittura «kiplinghiano» che, nel tempo, ha giustificato l’esportazione della democrazia occidentale ma che oggi espone l’Occidente a critiche profonde. Franz Fanon, nel suo I dannati della terra, denunciava il colonialismo come un peso morale e materiale per l’intera umanità. 

La prefazione di Sartre sottolineava che il fardello non è solo un impegno morale verso gli altri, ma anche un autoinganno che maschera diseguaglianze sistemiche. In questo contesto, il movimento politico di Trump incarna una rivolta contro il senso di colpa collettivo che ha caratterizzato una parte dell’Occidente negli ultimi decenni.

Cultura e strategie: tra storia e comunicazione

La strategia comunicativa di Trump, secondo MdPR, è cambiata radicalmente dopo la vittoria. Durante la campagna elettorale, i toni erano aggressivi; successivamente, più concilianti.
Questo modello richiama le dinamiche elettorali analizzate da Harold Bloom nel suo Canone occidentale, in cui i grandi narratori della storia – da Dante a Shakespeare – esplorano anche il tema del potere e del cambiamento.

Allo stesso modo, l’elezione di Trump riflette il declino delle figure politiche di grande statura morale, come John McCain, ricordato per il suo discorso di accettazione della sconfitta contro Barack Obama nel 2008. MdPR osserva che oggi le campagne elettorali siano dominate da sotterfugi e strategie spietate, una tendenza che si riflette non solo negli Stati Uniti ma anche in Europa.

Un’anomalia senza precedenti nella storia elettorale americana

Un punto interessante emerso durante l’intervista concerne la straordinarietà di queste elezioni, che Mauro della Porta Raffo definisce «uniche» per due connessi motivi senza precedenti nella storia politica statunitense. 
Il primo riguarda il sistema delle primarie, in vigore a livello nazionale dal 1912: mai prima d’ora un candidato alla presidenza o alla vicepresidenza era stato scelto senza ottenere un solo voto durante le primarie. 

È quanto accaduto a Kamala Harris, che nelle votazioni all’interno del partito del 2020 aveva raccolto solo il 3% dei consensi, ma era stata comunque selezionata come vice e che, per l’appunto, nella appena trascorsa circostanza è stata designata candidata a White House senza avere ottenuto neppure un suffragio nel corso di primarie e caucus che avevano invece visto prevalere con ben quattrodici milioni di voti il dipoi costretto al ritiro Joe Biden.

Questa scelta, ripete MdPR, rappresenta un’anomalia rispetto al sistema democratico americano, in cui i voti primari, da quando utilizzati a livello nazionale, hanno sempre avuto un peso determinante.
Il secondo elemento di unicità è ovviamente connesso: mai un candidato alla presidenza di uno dei due partiti principali, come nel caso di Biden, aveva rinunciato di fatto a una presenza attiva sul campo, delegando gran parte della campagna alla sua vice. 
Questi due aspetti, secondo MdPR, rendono le elezioni del 2024 un episodio singolare nella storia americana, un’eccezione che si inserisce in un contesto politico sempre più imprevedibile e polarizzato. 

«Un candidato con 14 milioni di voti non si presenta, mentre chi non ha raccolto alcun consenso alle primarie è incaricato: questo è straordinario e non ha precedenti», sottolinea, evidenziando come queste dinamiche abbiano contribuito a plasmare il risultato finale.

La nuova frontiera americana e l’Occidente in crisi

La vittoria di Trump si inserisce in un panorama globale segnato da crisi profonde. Come osservava Aurelio Peccei nel rapporto I limiti dello sviluppo del Club di Roma, l’Occidente si trova di fronte a sfide insormontabili, dall’ambiente alla sostenibilità economica. 

La politica di Trump, con il suo richiamo alla forza e alla sovranità nazionale, rappresenta una risposta che seduce molti ma spaventa altrettanti.
Come conclude Mauro della Porta Raffo, «le tensioni non mancheranno, ma difficilmente, guardando alla politica interna (quella internazionale prospetta tutt’altro!) raggiungeranno livelli estremi».

Tuttavia, il messaggio di fondo è chiaro: l’America è ancora una volta la protagonista di un esperimento politico che si riflette sulle sue stesse contraddizioni, intrecciando il passato con un futuro ancora incerto. 
Il vento, per ora, soffia nelle vele di Trump. Ma sarà sufficiente per traghettare l’Occidente oltre i suoi limiti?

Alice Mometti

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