Mister Fiorenzo Roncari lascia per sempre la panchina da allenatore. Sicuramente il suo è un addio sofferto: mancherà sicuramente agli appassionati di calcio questo besozzese doc (come ama definirsi) specialista in imprese difficili, a volte impossibili, capace di farsi voler bene da giocatori e pubblico con quell'empatia unica nei rapporti e un'impostazione sempre votata al coraggio e alla sfida. Mister Roncari, 66 anni, è stato spesso chiamato ad aggiustare situazioni complicate ed è riuscito con grandi doti umane e far girare il motore delle sue squadre in situazioni che a volte sembravano compromesse. Dopo aver firmato la sua ultima impresa, cioè la salvezza della Castellanzese che ha schiantato 5-0 e fatto retrocedere il Legnano in Eccellenza in un clima infuocato, Roncari ha detto stop.
Mister Roncari, questo è un addio definitivo?
La mia è una decisione maturata da tempo. Sinceramente avevo già deciso di smettere l’anno scorso, poi a gennaio mi ha chiamato la Castellanzese che era in una situazione difficile: dopo la promozione in serie D ottenuta sulla panchina neroverde nel 2019 non sono stato capace di rifiutare. Tra me e questo club ci sono in ballo amore, stima, affetto, tanto cuore e sfida, che per un uomo di lago come il sottoscritto sono sempre stati l’essenza della vita. Per queste ragioni ho accettato di tornare in panchina.
Cosa hai provato al fischio finale dello spareggio vinto?
Mi è passato davanti agli occhi il film della mia vita calcistica, con successi e delusioni. Poi sono corso ad abbracciare i mie ragazzi che mi hanno regalato questo traguardo: sicuramente quest’ultimo atto è quello che porterò sempre nel cuore.
Quale allenatore ti ha ispirato?
Sono nato calcisticamente nel Varese anni 70, facendo il raccattapalle a calciatori come Libera, Calloni, Marini e Gentile allenati da mister Maroso, grande scopritore di talenti, allenatore capace, competente e carismatico.
Il tuo sogno è sempre stato quello di allenare il Varese...
Sono cresciuto nelle giovanili e sono arrivato nella Primavera con amici come Salvadè, Ramella, De Lorentiis, Ferrario, Di Giovanni, Giovannelli, poi convocati in ritiro con la prima squadra, e posso dire che nelle vene ho sempre avuto sangue biancorosso. Ma è andata così, purtroppo, e questo resta un sogno mai realizzato.
Perché?
Che dire, anche se mi spiace tanto, non tutti i sogni si avverano amico mio... Poi a Varese hanno anche avuto negli anni allenatori bravi, e le varie dirigenze hanno deciso così.
Cosa farai adesso?
Certamente non mi vedrai seduto al parco a Besozzo a leggere il giornale. Devo seguire la mia attività del poliambutorio medico e riabilitativo a Gazzada, e seguire altri interessi legati alla mia famiglia.
Mister, è un addio definitivo?
Visto che insisti ti faccio una confidenza. Come allenatore non ho nessuna voglia di ricominciare, come dirigente però... Per adesso anche questo è solo un sogno, vediamo se si realizzerà.
Come vedi il futuro delle società a noi più vicine, dalla Solbiatese alla Varesina e al Città di Varese.
La Solbiatese ha come presidente Claudio Milanese, persona capace e competente che ha riportato questi colori a un passo dalla D partendo dal basso e lavorando benissimo con il vivaio. La Varesina fa scuola, con persone che oltre ad avere disponibilità economiche, hanno uno staff altamente preparato. Sul Varese vediamo e aspettiamo che venga mantenuta la promessa di riportarlo a giocare ad un buon livello al Franco Ossola. I tifosi se lo meritano proprio.
Come è cambiato il mestiere dell'allenatore da quando hai iniziato?
Il calcio è cambiato radicalmente in questi anni, dagli aspetti tecnici a quelli tattici, dove c'è stata un'evoluzione enorme. Idem sotto il profilo atletico, con i calciatori seguiti da staff specializzati. C'è più velocità e, magari, meno tecnica. Però rimane una base fondamentale, valida oggi come una volta: non ci si inventa allenatori e bisogna avere competenza, esperienza e voglia di mettersi in discussione e saper soffrire.
Parliamo del miracolo Como.
Quale miracolo? È stato tutto programmato. È vero che ci sono i soldi, ma questi non bastano: bisogna avere uno staff con gente competente e preparata, non si improvvisa nulla. Poi la dea bendata potrebbe essere determinante in parte però, se non ci sono le basi, chiude gli occhi e guarda altrove.
Che ricordi porti con te da calciatore e da allenatore?
Da calciatore momenti belli e brutti, come accade a tutti nella vita. Ho giocato con tanti amici e avuto parecchie soddisfazioni. Con molti di loro sono in contatto e ci sentiamo spesso. Da allenatore mi porterò con me l'ultima partita salvezza contro il Legnano, la vittoria della promozione con la Castellanzese, la finale play off in Lega Pro con il Lecco e l’altra finale play off con la Sestese.