Che fine ha fatto il figlio di Cio Cio San? Viene da chiederselo all’indomani del successo ottenuto dalla Madama Butterfly andata in scena a Busto Arsizio, delle poche ma appariscenti contestazioni suscitate dall’allestimento dell’opera (vedi QUI) e dei sette premi Oscar conquistati da “Oppenheimer”, il biopic di Christopher Nolan sul direttore del progetto che portò alla bomba atomica.
Passo indietro, a ieri: “Madama Butterfly” conquista il Teatro Sociale, il pubblico è entusiasta, gli applausi scrosciano. Ma qualcuno, fra gli spettatori, grida: «Cosa c’entra la bomba? Fuori la bomba dall’opera». Si allude a un passaggio volutamente anacronistico della rappresentazione, cioè il riferimento a uno degli ordigni che cambiarono il corso della seconda guerra mondiale. L'ombra atomica viene inserita perché la tragedia della giovane Cio Cio San – Madama Butterfly, sposa e madre, illusa dall’americano Pinkerton, si svolge in quella Nagasaki che fu devastata dall’esplosione nucleare. Una scelta apprezzata, o quantomeno accettata, dalla stragrande maggioranza del pubblico. Una forzatura insostenibile, stando alla contestazione, visto che tra i fatti immaginati nell’opera e la distruzione di Nagasaki corrono circa 40 anni.
«Eppure – riflette, il giorno dopo, Daniele Geltrudi, consulente artistico del Teatro Sociale Delia Cajelli – proprio i tanti premi conquistati da “Oppenheimer” inducono qualche riflessione». Intanto, per lo spettatore di oggi, il nome “Nagasaki” è talmente evocativo della catastrofe atomica che è quasi impossibile non associarlo al secondo conflitto mondiale, anche quando si va a teatro. «Il successo del film, inoltre, - prosegue Geltrudi - al di là delle sue qualità, è una dimostrazione di quanto certe vicende, certe esperienze, siano ancora sentite, vive».
Nel gioco del passaggio tra racconto di fantasia e realtà/storia: «Pensiamo al figlio della protagonista. La madre si suicida, lui viene portato in America per essere cresciuto ed educato. Ragionando sulle date, al momento dello scoppio su Nagasaki lo possiamo immaginare adulto. Consapevole, negli occhi il ricordo di Cio Cio San. Forse è coinvolto nella guerra, forse è colto dal sollievo perché la madre non può assistere alla tragedia di un popolo, di un mondo».
Sulla possibilità di letture non scontate: «C’è chi ha notato che la scenografia, via via lacera, con il procedere della rappresentazione sembra evocare una nave, il mezzo sul quale torna Pinkerton e che allontanerà dal Giappone il figlio di Madama Butterfly. Una suggestione notevole, merito dell’ottimo lavoro fatto dai docenti dell’artistico, Giulio Pace, Matilde Diotisalvi, Daniela Marchetti, Stefania Cattaneo, e dai loro studenti». La nave, dunque, come veicolo e presagio di vicende umane e collettive, di sviluppi, personali e collettivi, incombenti.
Troppo? Il giorno dopo, Geltrudi conferma l’opinione espressa a caldo: «L’arte non dovrebbe essere semplice riproposizione, deve graffiare».