Emerge quasi per caso, una battuta antica che usavano le persone rivolta agli sfaccendati. Giusepèn la illustra bene, da par suo, con tanto di rimprovero nei confronti di coloro che somigliano alle "sanguisughe". "Chèl lì, al go a canèta da vedar" e l'allusione contiene qualcosa di specifico per la "traduzione" dal Dialetto Bustocco da strada all'Italiano.
La cosiddetta "canèta" si riferisce alla colonna vertebrale che, non è affatto di "vedar" (vetro) per tutti. Anche perché, se lo fosse, al minimo sforzo o addirittura al minimo piegamento, la "canèta da vedar" si spezzerebbe. E, le conseguenze sarebbero catastrofiche; visto che la colonna vertebrale sorregge l'intero corpo.
Ho già scritto altre volte che, a Busto Arsizio, il Lavoro, l'Operatività, la Dinamica, rappresentano il fulcro della Bustocchità. Chi è indolente o (peggio) chi non ama il Lavoro, non è degno di essere Bustocco e meno che meno, non è degno di rappresentare il Dinamismo Bustocco.
Non a caso, chi fa la "sanguisuga" vale a dire, chi vive alle spese degli altri, è considerato un inetto, incapace per qualsivoglia attività; non tanto per la mancata intraprendenza, ma semplicemente per l'avulsione nei confronti del Lavoro. Tanto che Giusepèn tira fuori dal suo "gergo" un'altra frase, esplicita e colma di riflessione: "voia da lauà, burlami adossu" (voglia di lavorare, cascami addosso) come se dovesse trattarsi di un "castigo" o una sorta di "lotteria" che potrebbe toccare a chiunque ma sia mai che andasse a toccare proprio … .l'inetto.
Busto Arsizio "tollera" ogni …. inadempienza, ma "guai ai vinti" (la frase l'ha inventata Brenno) se dovesse colpire chi non ama lavorare. Busto Arsizio è generosa (chi l'ha definita "tirchia" dovrebbe ravvedersi per la stupidità del luogo comune) e aiuta tutti; non solo le Istituzioni che possono con il dovuto rispetto testimoniare i "lasciti" dei Bustocchi, ma "non tollera" gli indolenti e coloro i quali, pur di farsi mantenere sono disposti a "stracciarsi le vesti" (altra frase non mia) pur di non lavorare.
Giusepèn introduce nel discorso un esempio eloquente che fa parte del "problema-Lavoro" e questo esempio, da una parte è spassoso, mentre dall'altra parte è semplicemente tragico. Fa ridere un po', ma a ben guardare (visti i tempi) dovrebbe avere ben altra considerazione.
Si dice, insomma che un Datore di lavoro, un giorno particolare di bonomia, disse che avrebbe assunto per la sua fabbrica, una persona a caso che avrebbe sorteggiato fra le "mille" che si erano presentate per ottenere un posto di Lavoro. Tutti pronti per chiamarsi "fortunato" e, al verdetto finale, il "prescelto" ha commentato ….PROPRIO A ME? con un'espressione corrucciata, quasi a dire "fra tutti i presenti, proprio a me doveva capitare questa disgrazia?" chiaro che qui, la battuta è quasi esasperante, più di disarmante, ma rende chiara la volontà dell'indolente che nemmeno sa come ringraziare il destino per la fortuna ricevuta e sbeffeggia il fato pur di mantenere integro il suo "far niente" e la sua incapacità di ragionare. Lo sproposito, poi è rappresentato dalle contumelie, le ingiurie che il "canèta da vedar" rivolge alla Società colpevole per il suo stato, ma di fatto complice della sua non voglia di lavorare.
"Chel lì, m'al fò a vivi?" (quel Tizio, come fa a campare?.... a mantenersi?) e la risposta è ardua. Tuttavia, per Busto circolano soggetti di tal fatta e se ne trovano nei luoghi di ritrovo, in attesa di che? magari di chi "abbocca" ai pietismi; di chi si commuove alle parole dolci e "costipate", di chi fa finta di credere a talune "scuse" per non essere riuscito a trovare un posto di lavoro.
Non è per tutti così, sia chiaro, ma è per ribadire che un posto di lavoro, magari umile, a Busto lo trovano tutti. Tutti coloro che si danno da fare e che manifestano Buona Volontà.