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Calcio | 28 maggio 2023, 09:14

IL DIBATTITO. Ardor e il patto con ragazzi e famiglie: «Vogliamo creare adulti migliori»

Prosegue il confronto sul calcio, oggi parla la società di Sant’Edoardo a Busto. Alessandro Lavazza: «Il settore giovanile merita particolare attenzione. Solo un ragazzo su 80mila arriva in serie A»

foto dalla pagina Ardor

foto dalla pagina Ardor

Lo sport mette in campo la competizione, che a volte supera anche quello che ci dovrebbe essere alla base di esso: il divertimento e i valori. Questo succede più frequentemente nel calcio, dove gli episodi di violenza verbale, a volte anche fisica, non mancano. Nei giorni scorsi abbiamo avviato un dibattito con la voce di Emanuele Gambertoglio dell'Academy Pro Patria dopo un triste episodio nel Cremonese. LEGGI QUI 

Così la pensa, e opera Ardor, la società di Sant'Edoardo a Busto Arsizio.

«Ardor è sempre in prima linea per un atteggiamento culturale di un certo livello», spiega Alessandro Lavazza, responsabile del settore giovanile. Per questo motivo: «Abbiamo un patto di corresponsabilità tra ragazzi, famiglie e società».

«Facciamo continua formazione a tutti loro e anche ai nostri allenatori. Soprattutto il settore giovanile merita particolare attenzione», perché l’obiettivo di Ardor è «creare adulti migliori: solo 1 ragazzo su 80mila arriva in serie A».

«A inizio anno facciamo sempre una riunione, seguita da altre durante il campionato, con le famiglie, in modo da intervenire su azioni a bordo campo che non vanno bene», prosegue Alessandro Lavazza. Che tiene a sottolineare: «Siamo una delle poche società che fa parte di “Io tifo positivo”».

La società di Sant’Edoardo, però, non vuole trasmettere questo pensiero solo ai loro ragazzi e alle loro famiglie, ma anche agli altri. Per questo motivo, in un torneo a 98 squadre che sta svolgendo: «Premiamo tutte le squadre delle categorie più piccole, perché in questo modo togli quella sensazione di doversi affermare a tutti i costi».

Ardor ha attualmente 330 ragazzi e bambini tesserati: «Il 90% delle famiglie riconosce il nostro valore, perché per loro alla base di tutto c’è l’inclusione».

Infatti, gli allenatori, nonostante li vedano solamente con una media di 10 ore a settimana «lavorano sui bambini, stanno attenti e cercando di capire se hanno qualche problema. La nostra attenzione su questo è molto alta, perché i bambini sono un giorno in un modo e quello dopo in un altro».

Michela Scandroglio


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