L'etimo delle due parole, è per nulla uguale, ma la fonetica, si: le mette sullo stesso piano. Con "ugioeu" (occhiello - da leggersi alla francese, come "fioeu") si indica l'occhiello di una giacca, un vestito, la camicia che, in italiano si associa con l'atra parola; vale a dire "asola e bottone" che rende bene, il significato delle due parole unite.
Quindi, con'"ugioeu" si intende .asola, ma non solo. Da "ugioeu" deriva "ugioea" per dire "occhiata" che nella fattispecie operativa "daghi 'nugioea" (dai un'occhiata) a un lavoro, a una verifica, a un prototipo da modellare. Tuttavia, il "daghi 'nugioea" lo si utilizza per una verifica. Non solo per quanto concerne un compito a scuola, ma "verifica" su un componimento qualsiasi che merita una condivisione. Il "daghi 'nugioa" è quando si è di fronte a uno spettacolo naturale e si invita un amico, un parente o un familiare a "porre attenzione" a uno spettacolo naturale.
L'espressione "daghi 'nugioea" l'ho utilizzata pure io, quando con Massimo Castiglioni (mio socio alla GMC e cognato) ci siamo svegliati a Courmajeur (per lavoro) e dopo avere spalancato la finestra dell'Albergo che ci ospitava, mi sono trovato di fronte al Monte Cervino, cosparso di neve, dentro lo splendido azzurro di un cielo immacolato senza una nube a "disturbare" il paesaggio.
M'è venuto d'acchito il "daghi un'ugioea" che somiglia tanto a un "tho, guarda" con quel "tho" che nella Lingua Bustocca, spesso e volentieri "fa le veci" di un "tieni" - ne parlo, per un motivo semplice: :nella parlata in Italiano, si sente spesso dire "tho" al posto di tieni. "tho, prendi" al posto di "tieni, prendi" e …. spesso e volentieri, gli insegnanti, specialmente quelli provenienti dal Centro-Sud, Italia, "inorridiscono" all'utilizzo di un "tho, prendi" invece del corretto "tieni, prendi".
Mi viene in mente (me lo fa rilevare Maria, figlia di Giusepèn) che "anche loro" (si riferisce agli insegnanti del Centro-Sud utilizzano parole a disdoro del loro autentico significato. E mi fa un esempio. "Lo studente torna a casa da scuola, dopo un'assenza di due o tre giorni e racconta a mamma e papà che la maestra gli ha detto -ti accetto- e il bimbo lacrimando e impaurito ha preso posto nel suo banco" - solo che …. l'accento non si vede nella parlata e, mentre il "ti accetto" voleva significare "d'accordo, hai facoltà di rientrare in classe, a casa è suonato "t'acetto" e, il significato è …. quasi crudele. Il padre infuriato accompagna il bimbo a scuola e (furioso) dice chiaro e tondo alla maestra "come si permette di fare minacce a mio figlio? chi vuole accettare?"
Come è noto, l'accetta è un'arma e pure un attrezzo, simile alla scure, ma più piccola nella dimensione che viene utilizzata per tagliare la legna. E', l'accetta, la "sorella minore" della scure. Già che ci siamo, è un uso dalle nostre parti (Nord) il detto "quella persona è tagliata con l'accetta" per dire di persona grossolana, rozza, dalle maniere rudi. Tornando a quel babbo, nessuno vuole "accettare (tagliare) suo figlio, ma lo si vuole solo accettare, in classe, accogliere" - nessuna accetta, ma unicamente accetta - nessun sostantivo femminile, ma verbo transitivo.
Sugli "ugiò" (occhiali, poco da dire). E' un sostantivo maschile plurale che nella parlata Bustocca è utilizzato anche col dispregiativo di "quatroegi" (quattro occhi) per dire a qualcuno "non ci vedi bene", per dire pure "fai attenzione" (meti i quatroegi). Poi c'è pure "ti ho fatto gli occhiali", nel gioco della Dama; quando un "damone" si colloca per abilità di un giocatore, proprio nel mezzo di due "damoni"; uno dei quali viene "mangiato", nel senso di essere tolto dal gioco. "Mèi (dice Giusaepèn) bei un nocino".