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Busto Arsizio | 29 novembre 2022, 06:00

"cà da ringhea" - case di ringhiera

Non è per capriccio e nemmeno per puro divertimento che ne parlo a Giusepèn...

"cà da ringhea" - case di ringhiera

Non è uno "sfizio", ma a volte mi viene da ricordare quel periodo delle "case di ringhiera" dove la vita si snocciolava tra realtà colme di sacrifici e di sorrisi provenienti dal cuore, per la solidarietà in quelle pareti che si manifestava ad ogni spuntare del sole, sino ai silenzi "roboanti" della notte.

Non è per capriccio e nemmeno per puro divertimento che ne parlo a Giusepèn.  Lui si commuove, forse nel proiettare nella sua mente, eventi e azioni limpide che oggi sembrano desueti, ma che dovrebbero "tornare di moda" visto e considerato che ce n'è bisogno alquanto.

Ogni famiglia aveva il proprio daffare. Non c'erano Regolamenti condominiali, ma esistevano il decoro e la dignità. Ciascuno ramazzava "sul suo" e tutti insieme si congratulavano per il personale rispetto. Di motivi per salvaguardare la salute ce n'erano tanti. Polvere (e talvolta, sudiciume) ce n'era tanto sia quello portato in casa dalle tute degli operai sia quello inserito negli abiti dei contadini. Figuriamoci poi cosa c'era sotto le suole delle scarpe, osservando le strade non certo asfaltate o il suolo delle stalle che pullulavano di animali; sia quelli domestici, sia quelli "da tiro" (cavalli, mucche e talvolta ciuchi e muli).

Eppure si diceva che "t'e podi mangiò'n tera" (puoi mangiare per terra). Non è un ossimoro, ma è per evidenziare la meticolosità riservata alla pulizia. Le donne con la scopa; gli uomini con la ramazza che, altro non è se non una "scopa grossolana di rami" per spazzare ogni ambiente, ma pure cortili, strade e abitazioni.

Adesso poi che il "ramazzare" è entrato nel gergo comune è buona cosa. Dire "sto scopando" invece di "sto ramazzando" è maggiormente educato e gentile. Quello "scopare" aveva assunto un altro significato e dava adito a chi ascoltava di fare illazioni o di "ricamarci sopra". Dire poi "sto scopando in cortile" faceva elucubrare la mente tantissimo. Meglio "sto scopando il cortile", ma ancor più signorile è il "sto ramazzando" che evita ogni altra considerazione.

Nelle case di ringhiera, ci si conosceva tutti e soprattutto, ci si educava tutti. Spesso i bimbi o i ragazzi venivano in litigio e qualcuno lo diceva in casa. Reazione: prima le buscavi da mamma, poi ti sentivi dire "le mani le tieni a posto", mentre oggi è tutt'altra musica: si arriva al raffronto fra i genitori e alla diseducazione coi figli.

Se qualcuno aveva un bisogno "minuscolo" del tipo "ho finito il pane, mi manca il refe, hai un presino di sale" o cose del genere, nessuno negava l'aiuto, ben sapendo che "chi riceveva, restituiva" e ti sentivi dire pure "a buon rendere" che somigliava a una parola d'onore.  Ci si salutava all'alba e quando ci si trovava in giro. Una festa in cortile, specie in estate, con una tavolata lunga anche trenta metri, coi tavoli messi in fila e le tovaglie a coprire le "proprietà". Ciascuno portava "del suo" e veniva notte prima di esaurire quanto c'era imbandito. Nessuno faceva il "taca su" (lo spilorcio). Nonno (e non solo lui) intonava una canzone di paese e talvolta pure "arie" di un'opera e nessuno si lamentava per il "chiasso di notte" o per gli schiamazzi dei ragazzi.

Giusepèn adesso mi dice "ghe tanta roba da dì" e sa che mi devo fermare per lo spazio (c'è tanto da raccontare), ma lo rassicuro …. "ndem innanzi 'noltar dì" (andremo avanti un altro giorno) e il sorriso gli riappare su quel viso rugoso, ma dolcissimo. C'è il Nocino: cin-cin Giusepèn.

Gianluigi Marcora

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